Mangiare bene? Al Guggenheim
(intervistando il già eccelso Josean Martinez Alija)

gpb x mondointasca.org del 1/6/2006

Bandiera basca

Bandiera basca

No, niente paura, ancorché vocato ad alzare il gomito (nessuno è perfetto) l’autore di queste righe non sta scrivendo in condizioni di ebbrezza, eppertanto corrisponde al vero quanto riportato nel titolo, cioè che c’è un museo dove si mangia bene.
Assolto lo scrivano anche dal solo sospetto di aver libato a “Chacolì” (in “euskera”, la lingua basca, si scrive Txakolì e trattasi del delizioso non meno che asprigno vino bianco basco) gli si conceda berlusconiamente di procedere nel racconto gastronomico con intervista incorporata.

Tra le “opere d’arte”, anche la cucina
Allora, il museo è il celeberrimo Guggenheim di Bilbao e datosi che mangiare davanti a certi sgorbi dell’Arte Moderna potrebbe produrre imbarazzi di stomaco – anche il villico a ‘sto punto avrà capito che lo scrivano adora solo e soltanto la pittura classica, impazzendo davanti a un Goya e a un Canaletto – ecco che i costruttori della celeberrima opera di Frank O. Gehry hanno pensato bene di inserirvi anche un ristorante. E forte vada il plauso agli ideatori per due motivi.
In primo luogo, il ristorante è stato sapientemente suddiviso, selezionato, in tre differenti settori (beninteso, va immediatamente segnalato, con prodotti di altissima qualità in tutte le proposte); un bar con “tapas” per veloci “snack”; un ristorante con un menu non eccessivamente elaborato e a costi abbordabili; infine un locale più tranquillo e isolato con proposte di alta cucina.
In secondo luogo, la direzione “artistica” nel senso di gastronomica (è il caso di dirlo, in un museo) e la conseguente messa in opera sono state affidate a una coppia assai ben assortita.

Berasategui, scienza culinaria infusa
Demiurgo ove intendesi “padrùn” del Guggenheim (per ora solo il ristorante) è il divino Martin Berasategui che dall’omonimo ristorante tre stelle Michelin della “donostiarra” Lasarte, sovrintende, ispira, controlla quella che si potrebbe chiamare (“ça va sans dire” in senso elogiativo) una “Cupola del Palato”.
Completa la coppia, Maestro esecutore e direttore d’orchestra, pardon di cucina, quindi sommo Chef, Josean Martinez Alija (ai suoi ordini una brigata di cucina di ventidue “serventi” ai fornelli, otto persone in sala e sei impiegati commerciali).
E siccome “è del poeta il fin la meraviglia” ecco il qui scrivente Marino di Mondointasca meravigliare vieppiù informando che questa Grande Promessa della Gastronomia spagnola è giovanissima, conta appena ventisette anni e nonostante il divario di età ha pure concesso un’intervista (vabbè, quattro chiacchiere durante la “comida”) all’estensore di queste righe.

All'ingresso del Guggenheim....

All’ingresso del Guggenheim….

La parola a Josean Martinez Alija, chef in erba

Domanda – Lei arrivò a Bilbao a tredici anni; dov’era prima, come ha cominciato?
Risposta – Nato, e vissuti i primi anni, nella provincia di Leòn, ho cominciato a cucinare copiando mia madre, semplice cuoca di famiglia. Entrato in una scuola alberghiera sono in seguito passato alla corte di Martin Berasategui.

D – Compra al mercato? Come si organizza un cucina con ventidue persone?
R – Ordiniamo telefonicamente, basta avere buoni fornitori e pagarli, di sicuro non ti fregano mai. In cucina ognuno recita la sua parte nella preparazione del piatto, infine lo chef lo rifinisce.

D – Quanto tempo impiega per creare, inventare un piatto?
R – Non c’è un tempo. Dipende da molte circostanze e dal reperimento della materia prima perfetta.

Fresas
D – Una settimana, un giorno, in media?
R – Più di un mese.

D – Come si comincia, qual è l’origine, la motivazione della creazione di un nuovo piatto?
R – Le idee nascono dai sapori, i profumi, le suggestioni o soltanto perché qualcuno lo suggerisce. Dopodiché viene la fase del gusto, la più importante, infine si passa alla procedura della preparazione cui segue un periodo di vero e proprio collaudo.

D – E’ cambiato il modo di mangiare?
R – Cambia il mangiare come cambiano le abitudini della gente, il modo di lavorare. Adesso si serve il 10% di cibo cucinato e il 90% di insalata.

Dettaglio della sala ristorante
D – E’ stato qualche volta da Mc Donald?
R – Non ci sono mai stato ma direi che anche questi tipi di ristorazione hanno il diritto di esistere.

D – La cucina può essere un’arte di avanguardia e si può definire la sua come una Cucina d’Autore?
R – La cucina creativa può voler dire molte cose, essere definita in tanti modi e con tanti nomi. Qui facciamo una Cucina di Prodotto, piatti semplici e con pochi ingredienti, buona tecnica e materie prime scelte con cura. Ogni cosa deve avere il suo sapore, gusto; una patata deve sapere di patata e non ci sono piatti di “serie A” e piatti di “serie B”.

D – Perché tutti i grandi cuochi sono maschi?
R – E’ quello che mi domando anch’io. Soprattutto perché quasi tutti abbiamo imparato dalle nostre madri….