Cala N Poter

Case a Cala N Porter

Ritornando dove già fummo

gpb per mondointasca.org 26 5 1998
nella foto in hp: Cala Mezquita

Mi scuso con D’Annunzio per il furto di sì pomposo titolo e soprattutto per il vile uso penalizzante il medesimo. Con questa aulica battuta (ma i puristi non sconsigliano l’inizio di una frase con un gerundio?) il Vate celebrava il ritorno in Libia, sulla Quarta Sponda, degli epigoni dell’Antica Roma (ossia i Piemontesi che grazie a Garibaldi & C. avevano sloggiato Papa e Borboni dal sud Italia).

A tale proposito mi si conceda l’apertura di un breve inciso dedicato ai tanti modi per inventare una guerra (appunto quella Libica, per la conquista del giolittiano “scatolone di sabbia”, salvo poi, una volta partiti gli Italici, divenire un enorme pozzo di petrolio, ma questa, direbbe Kipling, è un’altra storia).
Vuoi ingrandirti occupando un pezzo di terra altrui eppertanto devi sparare su qualcuno?
Beh, racconti che 2000 anni prima in quel posto c’erano già stati i tuoi “antenati”, commissioni uno slogan a un bravo “copywriter” (chi meglio di D’Annunzio? inventò pure La Rinascente) dopodiché sbatti su un palcoscenico una formosa Sciantosa (la bellissima Gea della Garisenda) che si avvolge nel Tricolore e canta “Tripoli Bel Suol d’Amore” a giovinotti dalle furie nazionaliste inferiori solo agli appetiti Machisti: a quel punto la guerra è fatta.

Un’altra “sponda”…

Cala N Poter, playa

Cala N Poter, playa

Io, molto meno prosaicamente, sono ritornato a Menorca (Minorca per il lettore italiano) dopo “solo” 43 anni di assenza, senza fare guerre bensì mediante la sola accettazione di un gradito invito di Carlos Hernandez, “Jefe” del Turismo Spagnolo a Milano e sponsor del Congresso Fiavet in questo angolo delle Baleari.
Non si abbatta il lettore temendo che quanto segue altro non sia che un monotono e noioso racconto di faccende personali. Con queste righe non vincerò certamente il Premio Pulitzer, ma non dispero di suscitare un filo di interesse giacché nella narrazione sono ricordati momenti pionieristici del nostrano turismo, per conseguenza si percepiranno le enormi differenze intercorrenti tra i viaggiatori di allora e gli odierni utenti di viaggi che non scelgono una meta mediante uso del cerebro, bensì consultando i listini del Low Cost.
A Menorca, dunque, con curiosità inferiore solo all’emozione di andare a vedere cos’è rimasto, cos’è cambiato, se ci sono ancora “quei” posti, quelle “cose” e quella “gente” che non ho potuto dimenticare perché sono legati alle prime forti e genuine emozioni di chi passa dai bagni nel Ticino (al ponte della Nord di Galliate) alle bellezze di cale e spiagge da Mari del Sud (perché il Mediterraneo di meraviglie ne può sciorinare davvero, ma una cartolina di Maò vale meno di una cartolina dalle fangose acque di Malindi).
Eccomi quindi tornare a una sorta di mia preistoria, più che a un passato remoto, eccomi un novello Kunta Kinta padano alla ricerca delle radici baleariche.

Viaggi d’antan

Cala Mezquita

Cala Mezquita

Andai a Menorca (e per un paio d’anni vi trascorsi altrettante estati) accompagnando i viaggi della Sezione Giovanile della Grandi Viaggi, creata dalla Ciacia Benati e dal Roberto Cossa e poi trasformata nella mitica “Vacanze” (che solo quell’enorme annientatore di Viaggi & Latticini, chiamato Tanzi, poteva distruggere).
Si volava coi DC6B (beninteso a elica) della Sam (Società Aerea Mediterranea, costola dell’Alitalia) e talvolta si ricorreva pure ai DC7 turboelica della Spantax (uno dei quali venne battezzato El Catolico perché la domenica non c’era verso di farlo volare, un’avaria se la inventava sempre).
Ma alcuni viaggi erano organizzati in treno (Milano-Genova, di qui in cuccetta a Barcellona attraversando la Francia delle locomotive a carbone, sicché il mattino – con i finestrini tenuti aperti tutta la notte – ti svegliavi più nero della Condoleeza Rice) e da Barcellona si navigava in ferry fino a Menorca. Feci questo tragitto almeno 5 volte, con il solo problema che a Narbonne, dopo un errore dei Chemins de Fer francesi durante il secondo viaggio, mi toccava nottetempo stare di guardia per evitare che il nostro vagone fosse agganciato al treno di Lourdes.
Era infatti accaduto che – invece delle canoniche Osterie e di altri canti goliardici – l’aria si fosse riempita di cori tipo “T’Adoriam Ostia Divina”, con le mie accompagnate che ascoltando quei motivi familiari sentivano un certo senso di colpa per avere preferito una vacanza da me guidata ai ritiri spirituali estivi organizzati dalle Marcelline.

Ah! ….beata gioventù

Si era infatti negli anni in cui Ciacia e Roberto inventarono (grande colpo di ingegno) una sorta di Club Mediterranée ‘ad usum’ delle ragazze della buona società padana, che fino ad allora andavano a Laigueglia o a Varigotti per una simbiosi balneare coi genitori, assicurante il mantenimento della purezza. La garanzia perbenistica della “baby” Grandi Viaggi (il più noto, con Turisanda, dei pochissimi tour operator allora esistenti) costituì pertanto il grimaldello che permise la fuga vacanziera da casa di caste giovinotte e fu così che lo scrivente si ritrovò ad accompagnare gruppi di 36 pax, più precisamente composto da (almeno) 32 “ragassòle” (a volte anche 33) con i restanti partecipanti di sesso non fanaticamente maschile.
Essere (tour) “leader”, gestire, dirigere, proporre (per ottenere sperati consensi) ozi e piaceri a tanto ben di dio – il tutto su un’isola appena aperta al turismo, di giorno in mutande in riva al mare e la sera in balèra – mi trasformò financo in un idealista sprezzante il denaro.
Come tanti studenti universitari di allora, accompagnavo infatti gruppi di ricchi turisti americani e canadesi, roba da dollari a gogò a fine viaggio tra mancia e diaria.
Ma volete mettere – invece di menare in giro uno sciame di vecchiette del Wisconsin – partire il mattino su impossibili autobus dal pavimento di legno per Arenal d’en Castell e trascorrervi tutto il giorno sulla spiaggia con tutte le 32 o 33 sullodate sgarzolìne che mi circondavano festanti come fossi un pascià? O andare a Son Bou e Cala Galdana, passeggiando su spiagge lunghe centinaia di metri, deserte non meno che immacolate (unico neo le disturbanti vespe se ti addentravi in camporella)?

Sic transit gloria “Menorquìna”…

La sera, a Mahon (o Maò che balearmente sia) aperitivo alla Bodega Victoria, cena al Rocamar (con “vivero” di aragoste (tavolo a ferro di cavallo, io al centro come un sultano e le “girls” a riverirmi a destra e a manca) e “noche” al “night” Sa Tanca a San Lluis eppoi nel più bel locale notturno del mondo (sì! del mondo), il Sa Cova (o La Cueva). Un filotto di grotte (vi andavano i cacciatori di piccioni, sparavano e i sottostanti pescatori raccoglievano la preda dal mare) a strapiombo sul Mediterraneo (collegate da scale di legno e precari camminamenti), una gettata di cemento a mo’ di pavimento, usciva la luna, attaccavi il giradischi e vai facile!!!!
E così, dopo 43 anni, rieccomi a Menorca. Su Arenal d’en Castell domina la sagoma di un megahotel di 8 piani. Son Bou e Gala Caldana alberghi a gogò (e per farli han pure tirato giù due boschetti dove portavo a meditare sbarbine di Busto e di Cremona). La Bodega Victoria di Maò non esiste più (e per saperlo m’è toccato cercare indigeni “over 70”), il Rocamar ha chiuso, il Sa Tanca di San Lluis è scomparso e Sa Cova (o La Cueva) è diventata una “inscemante” discoteca con suoni mostruosi e orride luci psichedeliche (grazie comunque al Ventaglio per l’invito).
Morale: ma perché mai, per il suo congresso, la Fiavet ha scelto Menorca? Mica bello, distruggere sogni e ricordi a un vecchio signore della mia età: che non preciso, sennò si ricaverebbe quella delle mie preistoriche morose menorquìn-bergamasche (a loro, comunque, un casto non meno che sospirato “basìn”).