Dopo lunga assenza torno nella capitale argentina, sempre bella (e per di più ripittata), coi suoi splendidi parchi e le avenidas che più vivaci non si può…
Un rapporto speciale lega l’Italia al Paese sudamericano, basato sui sacrifici dei nostri emigranti di inizio secolo che lì crearono la loro fortuna
Buenos Aires! Ricordo dei mondiali di calcio, i “porteños” d’origine italiana, la vita intensa della città, i quartieri dalle case color pastello… Tutto filtrato dalla nostalgia del tempo e dalle note immortali del tango…
Era da un po’ che non andavo a Buenos Aires; per l’esattezza dall’estate del ’78, l’anno dei Mondiali di Calcio, appunto in Argentina. Vi soggiornai abbastanza a lungo – una ventina di giorni – e niente faceva pensare che dietro a ovvi entusiasmi footbalistici e a una apparente serenità della gente, allegramente affollante negozi e ristoranti in calles e avenidas, si vivevano immense tragedie volute da una dittatura feroce. E pure tanto stupida da andare, pochi anni dopo, a “sfruculiare” la Thatcher, British Lady di Ferro con palle di acciaio, che nel giro di poche settimane umiliò l’Argentina dei militari, goffamente assaltanti le Falkland-Malvinas.
Una famiglia intraprendente
Torno dunque a “Mì Buenos Aires Querido”, titolo di un tango del mitico e tuttora idolatrato Carlos Gardel (che nacque sì a Marsiglia ma da furlanissimi genitori; basta il cognome) per vedere se ci sono novità (beninteso interessanti); quindi non mi riferisco ad eventuali strascichi della nota vicenda dei Bond argentini, che stranamente non annoverarono tra gli allocchi uno sfigato businessman come me, né tanto meno Maradona, troppo preso dalle sue più recenti volgarità. E datosi che “panta rei”, dicevano i greci, tutto scorre (ma, aggiungo io, nulla cambia) ecco che anche stavolta ricorro a “los Zanone” per essere organizzato e consigliato sulle mie ore “porteñas” (e sappia il lettore che si dice pure “bonaerenses”). Miei paìs, i citati Zanone dallo sparagnino biellese se ne andarono a “Bue” e colà crearono l’Eurotur, un “tour operador” che in occasione del citato Mundial de Fùtbol, se si parla di biglietti delle partite, divenne una sorta di filiale del comitato organizzativo e soprattutto un centro finanziario di prima grandezza. Di lì passò infatti una bella fetta degli un tempo definiti “preziosi tagliandi”, tutti debitamente quotati come in una Borsa Valori che si rispetti, eppoi comprati o rivenduti, non importava con quali banconote.
Il difficile “mercato” delle “Entradas”
Perché, “de los hermanos Zanone”, oltre al Luìs, raffinato volpone nel trattare, e al “tecnico” Giacomo, c’era pure la Norma, che in tempo reale (ancor più precisa di un computer, allora di là da venire) quantizzava in dollaroni Usa qualsiasi altra valuta del nostro pianeta. Roba che nemmeno il megafinanziere Soros sarebbe stato capace di gestire.
Entradas, biglietti di Scozia-Perù a Mendoza? Ma mi faccia il piacere! Me ne porti sei etti e mezzo e ti do un dollaro, informava il Luìs con il solo sorriso (mentre la Norma verificava se nel frattempo il cambio della valuta yankee non aveva perso qualche decimo appetto al Lempira hondureño). Ma se solo ti presentavi con un paio di “Olanda-Argentina”, cara gent, i baldi miei amici Viej Piemont ti invitavano nel Sancta Sanctorum e li si faceva l’affare, l’Eurotur e l’interlocutore (perché i biellesi sono sagacemente bravi come gli ebrei: che non solo amano, sì, fare il loro business, ma contestualmente a quello della controparte, per il semplice fatto che quest’ultima, se soddisfatta, torna).
Ricordi del passato e un occhio al presente
Stavolta, di nuovo a Buenos Aires, 32 anni dopo, non ho fortunatamente bisogno di “entradas” (eppoi anche gli accorti Luis e Giacomo hanno capito che ormai se tenti di mettere le mani nel calderone dei biglietti calcistici rischi di bruciarti l’intero braccio) ma un tetto, info e dritte per far le cose in fretta, sì (mi fermo infatti soltanto una manciata di ore, in transito verso la garibaldina Montevideo). Eppertanto tampino l’Anamaria, seconda generazione “de los Zanone”, che mi dice dove andare e cosa fare dalla tolda della milanese Latintour (che poi sarebbe l’Eurotur da questa parte del Charco, pozzanghera, nomignolo “cariñosamente” riservato dalle ispaniche genti all’oceano Atlantico).
Ed eccomi a Ezeiza, la Malpensa di Buenos Aires, dopo undici ore di volo Iberia da Madrid (escludenti qualsivoglia piegamento di gomiti e ginocchia, roba da invidiare – quanto a possibilità di sgranchirsi le membra – le acciughe sottolio adagiate in lattina). Da Ezeiza, però, a differenza di Malpensa, si arriva nel centro della metropoli percorrendo una strada più bella, veloce, larga e meglio tenuta della tragica non meno che triste autostrada, si fa per dire, che dalla brughiera lombarda conduce a Milano. Profumo, o per meglio dire, avvisaglie di Pampa.
La Buenos Aires sempre viva
Rivisitazione di “Bue”, subito alla Boca, quartiere che più Xeneis di così non si può (Ma se ghe pensu e vedo la Lanterna…) e visto che la Lega ha vinto queste ultime elezioni, salgo sul carro del vincitore commentando che oltre ai partenti per la Merica intonanti “Santa Lucia lontana e’ te”, c’erano pure quelli che cantavano il “Sirio” (dal nome del piroscafo che a partire dal 1906 portò chissà quanti nordici emigranti a cercare miglior “suerte”). E scopro una Boca ripulita, le case del tenero Caminito (“Desde que se fue triste vivo yo…”) ripittate con colori-pastello forse eccessivi ma anche suggestivi, da cui un “barrio” forse un po’ più “turistico” del lecito, almeno appetto ai miei tempi, ma va bene così (dove va la massa è fisiologico che appaia qualche sbavatura disneyana, sennò rieccoci al solito turismo d’élite di quelli con la puzzetta sotto il naso).
Non è cambiata l’animazione nella pedonale Florida; quanta gente nei teatri e negli altri locali pubblici di Corrientes (pare Milano, alle 17,23 in via Santa Sofia: il deserto) e davanti alla Casa Rosada i soliti contestatori (solo Peròn riuscì a mettere tutti gli argentini d’accordo, o quasi) che vogliono mandare in galera il presidente di turno (stavolta è una presidenta, in arrivo dalla lontana Patagonia, ma dentro – se hanno ragione i proclami murali – ci deve andare pure il consorte disinvoltamente affarista).
Una bottiglia “super” per dimenticare
E infine, grande highlite del mio blitz a Buenos Aires, eccomi di ritorno alla Estancia, mitico ristorante in Lavalle, più di tre decenni dopo le mie Mundialegginti serate conviviali con Bearzot “Citì degli Assurri” e il grande – e a me caro – Mago Herrera. E anche stavolta gran magnata di Bife e Asado de Tira, dopodiché nell’acceso entusiasmo del ritorno, dimentico pure di far bene i conti (evidentemente dalla Norma nulla imparai) e sbagliandomi di grosso sul cambio del peso argentino ordino una bottiglia di Malbec Rutini che più o meno mi costa quanto il ricavato di una dozzina di composizioni turistico-letterarie. E vabbè, mi scolo la “boccia”, non per dimenticare la voragine debitoria appena apertasi, bensì per lenire la tristezza provocata dall’imminente partenza da “Mì Buenos Aires Querido”.
gpb per mondointasca.org del 7/4/2010 – nella foto in hp: Esercito argentino nell’…’800
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