Vasta regione quella andalusa: praticamente, una piccola Spagna. Alla quale non manca nulla per piacere e talvolta entusiasmare il visitatore. Dai paesaggi, alle città e paesi ‘bianchi’ di calce, alle bellezze degli storici monumenti, alla cucina
(per mondointasca.org, 7/2011 – nella foto di copertina, la Plaza de Toros di Ronda)

Granada, Alhambra, Palazzo di Carlo V

Granada, Alhambra, Palazzo di Carlo V

Lungo la descritta Carretera che da Malaga conduce ad Algeciras-Gibilterra, chi arriva a San Pedro de Alcantara e gira a destra, affrontando i tornanti dell’omonima Serranìa, finisce per giungere a Ronda. Una località davvero magica. Giusto il tempo di invadere l’Europa agli ordini di Tarik e il capo arabo Zayde Abn Kesadi Al Sabsaki conquistò Ronda e la ribattezzò Izn-Ran Onda, città dei castelli. La felice coabitazione tra musulmani e cristiani lasciò una durevole traccia anche dopo la Reconquista, nel 1485, e ancor oggi la città si rivela un angolo di Andalusia unico e cosmopolita.

Personaggi e monumenti. Ronda….
Arte e cultura sono sempre state di casa, la frequentarono Rainer Maria Rilke, James Joyce, Hemingway, Orson Welles e Francesco Rosi vi girò Carmen. A fine ‘700, mentre il rondeño Pedro Romero dava vita alla moderna tauromachìa (ed è ricordato ai primi di settembre con una Feria culminante nella corrida goyesca, per le divise degli espadas disegnate dal pittore aragonese), Josè Martìn Aldehuela vi profuse il meglio della sua architettura costruendo l’ardito Puente Nuevo sulla spaccatura-tajo formata dal Guadalevìn e la barocca Plaza de Toros (monumento nazionale, in perenne disputa con l’omologa sevillana sull’anzianità di servizio).
Un pernottamento a Ronda è d’obbligo: valido il Parador e suggestivo il ‘4 stelle’ british style “Reina Victoria” (ma chi vi scende non speri che gli venga assegnata la camera 34: lasciata per decenni come Rainer Maria Rilke la abitò a lungo; ahi ahi … ultimamente ‘ristrutturata’).

Gazpacho e Perdiz, da scoprire e gustare
Specialità andaluse al ristorante ‘Pedro Romero’ (davanti alla Plaza), che oltre a non chiudere mai e a proporre un museo fotografico taurino (ovvia un’alluvione di immagini degli Ordonez, padri padroni della Ronda taurina, immortalati da Hemingway), serve il rinfrescante gazpacho andaluz, il chivo asado-capretto al forno, il guiso-stufato di toro e la prelibata perdiz-pernice al tajo (in umido con aglio e salsa). Oltre allo shopping (Ceramica Rondeña in Plaza de España e in tutte le calles intorno al Puente Nuevo) è poi suggerita una visita al Museo Taurino de la Real Maestranza (nella stessa Plaza de Toros) e chi va porti al direttore i saluti del Club Taurino di Milano (impossibile ma esistente clan di aficionados a los toros sotto la Madonnina, ne fui membro attivo e a Ronda si era di casa). Dato un occhio al museo del Bandolero (ma solo per capire come campavano i Passator Cortesi del posto) si cominci il tour dei Pueblos Blancos de Andalucia.

I Pueblos, tutti diversi, ma tutti bianchi!
Caposaldi militari in posizione strategica cui si aggiunse un centro abitato, o semplici villaggi de la frontera, costante comune dei Pueblos Blancos è l’accecante candore della calce. L’assetto urbano e le caratteristiche delle costruzioni ricordano l’influenza musulmana: una calle principale, con case dalle finestre decorate da cancellate sporgenti-rejas, sulla quale confluiscono stradine tortuose talvolta incrociate da archi. Essendo tanti e sparsi non esiste un itinerario definito per visitare i Pueblos Blancos in un su e giù di strade nelle sierras (piccoli gruppi montagnosi) tra il Mediterraneo e la pianura del Guadalquivir. Dipende dalla curiosità del visitatore. Esiste comunque, suggerita dal Legado Andalusì la Ruta de los Almoràvides y Almohades, via di comunicazione da Marrakesh a Granada impiegata per la protezione dei deboli regni di Taifa dalle incursioni cristiane. In Andalusia tutte le strade sono buone e praticabili, anche quelle secondarie. Un motivo in più per girare liberamente alla conoscenza del Pueblo Blanco che più ispira, talvolta solo per il nome o per caratteristiche e dati storici che lo rendono importante. Vicino a Ronda, Setenil incuriosisce per quella fetta di paese costruita sotto una roccia lungo il greto di un torrente. Ben visibili da lontano, Arcos de la Frontera e Olvera impressionano per l’arcigna posizione strategica, su Zahara de la Sierra domina un castello teatro di eventi memorabili.

Artigianati e leccornie dei ‘Pueblos’: valgono il viaggio

Folklore, pellegrinaggio al Roc¡o

Folklore, pellegrinaggio al Roc¡o

A mezza costa Grazalema si fa ammirare in un trionfo di fiori e verde vegetazione (e shopping di coperte e tessuti di lana), a Algodonales i liutai espongono Guitarras de Artesania, mentre la lavorazione del cuoio a Ubrique attira non solo ippofili (oltre ad accurati i finimenti per i cavalli, borse, scarpe, stivali) e aficionados taurini in quanto terra natale del bel Jesulìn, unico matador ad aver organizzato una corrida per sole mujeres. Tanti, quindi, i piaceri e le esigenze soddisfatte dai Pueblos Blancos. Mentre l’ecologo affronta montagne alla ricerca della Cabra Montès e delPinsapo – una rara conifera, sottospecie dell’abete – chi privilegia il folclore segue i riti religiosi della Semana Santae del Corpus Domini nei villaggi della Serrania (a Igualeja, Passione del Venerdì Santo) e i remakes delle lotte traMoros y Cristianos (a Benadalid e Banalaurìa). E i predestinati al girone dei golosi assaggeranno i Pestiños di Alcalà de los Gazules (di chiara origine arabo-ebraica: farina, miele, sesamo, zenzero, noce moscata, anice, garofano, limone, vino, olio d’oliva), iDamascos di Bornos, gli Amarguillos e i Cubiletes di Grazalema, i Suspiros di Benaocaz. Ce n’è per tutti i gusti – e non solo del palato – nei Pueblos Blancos de Andalucia.