Fine ottobre, autunno.
Una fottutissima stagione, fosse solo per il curioso, e non meno tragico, minidramma (roba che nemmeno Ibsen) da me vissuto qualche decennio fa nella quasi (non del tutto, soltanto in parte) ridente Novara. (NB La città non può essere totalmente ridente, e tantomeno ridanciana, in quanto piemontese, terra in cui si scatenò quel menagramissimo De Amicis, triste e tristo autore dello sfigatissimo “Cuore” …. e che culo quell’Enrico ad avere una sola mamma, sennò il suesposto sfigoscrittore gliene avrebbe fatte morire ben di più… anzi… tutte….). Se poi (proseguendo nel commentare la sfiga), si passasse – pure!!! – a ricordare il sabaudo re C.A. (meglio evitare il nome per esteso …. tutti noi teniamo famiglia…) beh, la vicenda diverrebbe viepiù cupa…. .

Novara, San Gaudenzio (a sinistra brutta cupola dell’Antonelli, a destra, gran bel campanile dello zio di Vittorio Alfieri)

Pertanto tiremm innanz e parliamo del pathos che nella citata località devastò la serenità del qui scrivente, oltretutto (quando si dice la sfiga..) la “Vetrina dell’Orrore del  valigiombrellaio purcaciùn” (che passo a commemorare nelle seguenti righe), trovavasi ubicata proprio davanti alla sua residenza.
Finiva l’estate, prime nuvole, eppertanto primi scrosci d’acqua. Che l’autore di questo Amarcord  non aveva difficoltà ad affrontare: poca roba, per lui, anche perchè l’edificio in cui dimorava era dotato di un gran bel portico. Piacevole non meno che riparante caratteristica architettonica, i portici novaresi, ahinoi pressochè assenti a Milano, epperò abbastanza frequenti nel Vej Piemont. Laddove, nei suoi centri abitati, nemmeno manca una piazza, quasi sempre detta del mercato, ospitante le transazioni di vacche & vitelli (condicio sine qua non  dell’arcinoto bollito, ça va sans dire canonicamente ingentilito dal bagnèt vert, oh basta, là….).
Un ulteriore plus durante la cattività novarese del Nostro (io), era poi costituito dalla citata residenza, che più downtown non si poteva, proprio nell’epicentro del canonico, rituale, struscio tardopomeridiano (v. Fellini, Amarcord).
Vita vita, pertanto (anzi, Allegriaaa avrebbe entusiasticamente sospirato l’indimenticato Mike)?
Invece no, una beata fava!
Perché sempre un filino di tristezza permeava il mio struscio.
Il motivo? Elementare, Watson.
Verso la fine della nostra saison estiva lardellata di tentato sex (a/r a Stresa a cuccare straniere mediante trasferta in Fiat 500, detta“Topolino”, dancing terrazzato sul lago, ultimo lento a mezzanotte, mai una ciulata che fosse una, e dire che sarebbe anche andata bene una non più giovane turista rossocrociata della vicina Locarno o dei Graubunden, detti anche Grigioni…), a fine settembre – dicevo – nella vetrina della boutique del citato valigiombrellaio purcaciùn potevasi leggere il seguente (intrigante) poemetto……

Finisce l’estate

Gli Uccelli emigrano

Il pittor cambia il pennello

E la donna, cosa fa?

Cambia il manico all’ombrello …

(sic transit….)