Una intrigante crociera dal Belpaese alle più belle località costiere croate, albanesi, montenegrine e bosniache
per mondointasca.org del 24/5/08 …. nella foto di copertina la m/n Dalmacija
Mare Adriatico. Con la motonave Dalmacija, della flotta croata Adriatic Cruises, alla scoperta della “storia” e delle “storie” di antiche terre e nuove nazioni. Tra le architetture di mirabili città e le bellezze naturali di una costa affascinante……
Sabato. Venezia. Nel pomeriggio mi imbarco sulla “Dalmacija” per una settimana esplorativa lungo “l’altra sponda” dell’Adriatico. Parto con molta curiosità, anche perché i posti da vedere non sono soltanto intriganti, per storia e bellezze paesaggistiche, ma risultano pure tanti. Per chi ama viaggi “ricchi” di mete, vedere “tanto”, almeno in termini numerici, questa crociera è una goduria.
Primo incontro, la nave.
Grazie allo smembramento della titina Jugoslavia si approda infatti in Croazia, Montenegro e Bosnia Erzegovina, sommandosi così a cinque i Paesi visitati dalla “Dalmacija” (ai citati neostati vanno infatti aggiunti l’Albania e la Serenissima Repubblica di Venezia sede di partenza e arrivo della crociera).
Mancavo dalle crociere da circa una trentina d’anni, ma la sorpresa nel risalire su un albergo natante dopo tanto lasso di tempo non è poi così scioccante. Devo ciò alla non imberbe età della “Dalmacija”, che a mio modesto parere non costituirà un problema. Sarà che amo ciò che è un po’ fanè, le cose eleganti visitate dalla patina del tempo, il legno al posto della plastica, le lampade invece dei tubi al neon, le orchestre melodiche in confronto ai disc-jockeys, le musiche e non le urla della foresta, il bello invece del kitsch. Ma quel che conta sono le dimensioni umane della “Dalmacija” (5.500 tonnellate, 140 cabine, massimo 300 passeggeri con nave “a tappo”) e soprattutto quello che vado a vedere. A nanna.
Spalato e il suo “Palazzo” fuori misura
Domenica. Spalato. Si naviga sul bel Adriatico (a me caro: quanta storia, civiltà, cultura l’hanno attraversato nei millenni), mare forse meno dispensatore di bellezze sui litorali italiani che su quelli orientali. Basti citare le 1185 isole vantate dalla Croazia (solo una settantina quelle abitate) situate di fronte a una costa mossa da penisole e insenature, il tutto per la gradevolissima visione di panorami che solo da una nave puoi godere con completezza.
Chi entra nel porto di Spalato non può che meditare sulla megalomania di Diocleziano. Per il semplice motivo che la poco distante, romana Salona (si visitano i resti archeologici durante un’escursione interessante ma non esaltante) non aveva nulla a che vedere con l’attuale Spalato. Se non che poco prima del 300 d.c. l’imperatore pensò bene di costruirsi un mega Palazzo sul mare, a poca distanza dalla città natale, con il risultato che all’interno e intorno a quell’immane edificio (ovviamente dichiarato Patrimonio dell’Umanità) si sviluppò l’odierno capoluogo della Dalmazia.
Spalato
Le dimensioni del Palazzo spalatino risultano a dir poco inquietanti: costruito secondo i dettami dell’accampamento romano, il Cardo misura 180 metri, il Decumano 215, le mura contenevano 16 porte, tante le torri sovrastanti giardini pensili; dai previsti 1400 abitanti “imperiali” al servizio di Diocleziano, si arrivò ai 15.000 profughi ospitati durante le tante invasioni barbariche e ottomane succedutesi nei secoli nell’Europa balcanica. E’ il caso di dire “vedere per credere”.
Poco distante da Spalato, tenera e commovente la visita di Trogir, anzi la ex nostrana Traù, bella e deliziosa, civilissima, nobile “città degli angeli” (perché sempre presenti nelle tele di un buon pittore locale del Rinascimento).
Nelle storiche Bocche di Cattaro
Lunedì. Cattaro. Sto per vivere una giornata davvero importante, densa di sensazioni non solo turistiche, spazianti dall’estetica alla gastronomia, dalla politica all’economia, dalla storia al folclore. Una giornata che gli Yankees definirebbero Kotor-Day, prologo e gran finale nelle Bocche di Cattaro, un termine geografico che mi intrigò fin da piccolo (cosa c’era mai dentro quel dedalo d’acqua dominato da incombenti e cupe montagne?).
Dopo un paio d’ore di navigazione nel fiordo si arriva a Cattaro con l’occhio appagato da panorami inconsueti, villaggi rivieraschi con gli abitanti che si sbracciano nei saluti, due minuscoli isolotti decorati da una elegante chiesa barocca (la Vergine di Skrpjela) e un santuario (San Giorgio). Ai piedi di un dirupo sovrastato da una robusta fortezza da cui si dipartono quattro chilometri e mezzo di una minimuraglia cinese assai ben preservata (essere dichiarati Patrimonio dell’Umanità spinge quantomeno a non distruggere panorami e monumenti) Cattaro incanta per un glorioso quanto poco noto passato.
Superfluo informare che anche in questo recondito angolo del Montenegro la presenza di Venezia è immanente. Verso la Serenissima procedevano, dal medio oriente, i resti di San Trifone, se non ché il santo, mediante ininterrotti uragani impedenti il proseguimento del viaggio (che belle le leggende!) convinse gli abitanti di Cattaro che preferiva restare dov’era. E fu così che oggi ammiriamo la bella cattedrale, appunto dedicata a un santo dal nome singolare, come singolare è il nome di una delle più belle piazze di Cattaro, detta della “Farina e del Latte”, circondata da palazzi e ricche case di mercanti con “sotoporteghi” e cortili.
Cettigne (Montenegro) la città di Elena di Savoia
Ci si addentra nel neostato (primo dei due pezzi perduti recentemente dalla Serbia, il Montenegro eppoi il Kosovo) con il bus che si arrampica infilando un rosario di venticinque serpentine tipo Stelvio, volute dal re Nicola I Petrovic per rendere un filino meno isolata la capitale Cettigne. Mediante una molto impervia ma percorribile strada (chissà a quei tempi) pensò il sovrano, sarebbe anche potuto passare da quelle parti qualche pretendente la mano di una delle nove principessine da lui procreate (più tre maschi). E difatti ecco apparire a Cettigne l’allora nostrano principe Vittorio Emanuele III. E fu così che Jelena (peraltro ben educata alla corte dello Zar di Russia, talché si rivelò ottima sovrana) divenne la nostrana regina Elena.
E’ sera, tra luci di strade e case così vicine – quasi si percorresse un viale cittadino – la “Dalmacija” lascia il fiordo, esce dalle Bocche di Cattaro.
Durazzo, “nuova vita” in Albania
Martedi. Durazzo. Nel cosiddetto Paese delle Aquile c’ero già stato, molto brevemente, all’epoca di Enver Hoxha, il deciso e truce dittatore amico dei Cinesi e quindi acerrimo nemico del Papa e di Breznev (ricordate, quello dell’Urss con le sopracciglia che ricordavano “Cime Tempestose”?).
Meno impaurita della precedente, questa mia escursione albanese si svolge invece all’insegna della sorpresa, nello scoprire situazioni impensate, nello smentire fosche previsioni di trovare un Paese paracriminale come da luoghi comuni peraltro un tempo veritieri. Altro che gommoni di disperati approdanti sulle coste pugliesi a tentar fortuna! In viaggio da Durazzo e Tirana, circa quarantacinque chilometri, non si contano i cantieri all’opera, le stazioni di servizio per auto, il novanta per cento Mercedes, molti i Suv; market e supermarket invitanti a “strafugnarsi” nel consumismo. Gli Albanesi stanno conoscendo (almeno nelle due importanti città, nell’interno è probabilmente più grigia) quella fortuna che erano venuti a cercare nello Stivale (e difatti di gommoni non ne arrivano più).
Dall’Italia una seconda “invasione” mediatica
Quanto alle esportazioni italiane, destano entusiasmo i nostri prodotti griffati e tanti programmi televisivi (tutti seguitissimi: avvince il Grande Fratello, ma è Striscia la Notizia a fare ammattire gli Albanesi). Nelle strade, sui muri, tanti gli evviva a Inter e Milan (ma nessun “abbasso”; bravi gli Albanesi, almeno sportivamente più civili di noi). Frequenti pure insegne “italiane”, tipo Bar Brianza, Pizzeria Salerno, Ristorante Bologna. Nelle strade di Tirana (350.000 abitanti, circa un decimo della popolazione albanese) l’Italia è presente non solo con gli autobus donati dalla Atm milanese (effettuato un controllo è risultato che almeno lì gli Albanesi pagano) ma anche e soprattutto con gli edifici “fascisti” (invasione italiana il 7 aprile 1937).
Tanti gli edifici della “Tirana Littoria” costruita nei pochi mesi precedenti la seconda Guerra mondiale (e diciamolo chiaramente, i palazzi del Ventennio ispirati da Piacentini – l’attuale Parlamento, i ministeri degli Esteri e dell’Agricoltura, la Banca ex d’Italia – non sono poi così malvagi). E tanti i ricordi del nostro recente passato nel Museo Storico Nazionale: dalle foto del già citato re Vittorio Emanuele III, al mitra del colonnello Valerio che uccise Mussolini (dono del Pci al già lodato Caro Leader Enver Hoxha).
Nobiltà di Ragusa/Dubrovnik
Mercoledì. Ragusa. Dopo una breve navigazione notturna, di prima mattina la “Dalmacija” approda a Dubrovnik (fino al 1909, più “venezianamente” Ragusa e adotto questo nome per tutto il prosieguo della narrazione). Appena attraversate le severe mura di pietra grigia, un cartello informa che durante l’assedio ex jugoslavo (leggere Serbia) sulla città vecchia piovvero qualcosa come duemila ordigni tra bombe, spezzoni, granate, sia dall’entroterra che dal mare.
Descritta la tragica, recente storia, più edificanti sono le remote vicende di questo lembo di Dalmazia. Città-stato a lungo indipendente, beninteso sotto la protezione della grande Serenissima Repubblica, cui appartenne fino al 1358, Ragusa (superfluo precisare che da ormai tanti decenni è Patrimonio dell’Umanità) vantò a lungo ricchezze provenienti dal commercio del sale, dell’oro e dai traffici operati nel Mediterraneo con una flotta che arrivò a sommare centocinquanta barche da trasporto. Un ben di dio, in un contesto di estrema e raffinata civiltà; basti citare che nel 1438 un acquedotto (tuttora operante) portava acqua ai ragusani, mentre a pochi chilometri di distanza, negli arretrati Balcani, gli invasori ottomani e i loro soggiogati vivevano in condizioni da basso medioevo. I fasti di quei gloriosi tempi sono tuttora visibili, perfettamente ricostruiti, nel Palazzo del Rettore e nella Dogana, passeggiando lungo l’elegante Stradùn e visitando la più antica farmacia d’Europa, nel convento domenicano. La “Dalmacija” riparte e per certo chi è a bordo ammetterà che (per dirla con gli Yankees) visitare, conoscere Ragusa è un “must”, un doveroso obbligo per il viaggiatore.
Mostar e il famoso ponte
Giovedi. Mostar. Avviso ai naviganti. All’arrivo della “Dalmacija”, nel porto di Ploce, si ammira la bandiera croata, che sarebbe poi quella della ex Jugoslavia a strisce orizzontali blu bianche rosse con l’aggiunta, al centro, di uno scudo a scacchi biancorossi in sostituzione della stella rossa voluta da Tito. In realtà Ploce dovrebbe costituire lo sbocco al mare riconosciuto alla Bosnia Erzegovina alla nascita della sua indipendenza (1992); ma forse per effetto dei successivi avvenimenti (Sarajevo, pulizie etniche e gli accordi di Dayton nel 1995) chi oggidì va in visita a Mostar (o in pellegrinaggio alla Madonna di Medjugorje) esibisce i documenti in un posto di confine “bosnio-erzegovino” situato a una ventina di chilometri da Ploce. Misteri della politica.
A Mostar l’ormai celebre Ponte Vecchio (Stari Most) sulla Neretva, costituisce la “highlight” – rubo sempre terminologie turistiche made in Usa e me ne scuso – ovvero la grande attrazione della martoriata città. Sul manufatto, voluto da Solimano il Magnifico, datato 1566 e difeso dal 1992 dalle forze governative bosniache, si accanirono prima i Serbi eppoi i secessionisti croati, che la mattina del 3 novembre 1993 riuscirono finalmente a ridurlo in briciole.
Perfettamente ricostruito (con 1088 pietre recuperate e lavorate con antiche tecniche, ancorché nella parte inferiore, scorra invisibile un supporto di cemento armato) questo Patrimonio (non solo monumentale) dell’Umanità, fu restituito il 22 luglio 2004 a chi è sensibile al bello (si dice che fu il ponte a singolo arco più grande del suo tempo) e alle umane vicende (ahinoi, mica sempre, anzi quasi sempre tendenti al brutto). La visita di un’antica casa turca (si fa per dire, ma un filino di “relax turistico”, dopo le tristezze del Ponte, occorre proprio) completa un’escursione intrigante non meno che meditativa.
Pola, a “illuminare” l’Istria
Venerdi. Pola. Si sbarca a pochi metri dall’Arena (bella bella bella!) in una città triplamente bella perché tale fu con i Romani (la guida assicura che fu fondata da Calpurnius e dal fratello del “Cesaricida” Cassio) i Veneziani (poi decadde) e infine con gli Austriaci. Questi ultimi, costruendovi l’arsenale della Flotta (1856) ridiedero nuovo slancio e bellezza a un borgo ridottosi a 1200 abitanti (1843).
Per chi ama le bellezze artistiche della Mitteleuropea asburgica, consiglio una sosta (delizioso un calice di Malvasia istriana) al Caffè Vajne, nella piazza Grande, per ammirare i dipinti murali allietanti i clienti della banca austriaca che qui ebbe la sede fino all’arrivo dei vincitori italiani. Pola è anche un angolo di nostrani, recenti ricordi: la diva Alida Valli e l’ispirato cantautore Sergio Endrigo (stanno allestendo un monumento in suo onore) nacquero all’ombra dell’Arena, in questa propaggine estrema dell’Istria la cui perdita, a noi italici (confessiamolo) un piccolo nodo alla gola lo procura, eccome. La gita in pullman si conclude a Rovigno, splendida, elegante, accogliente.
A bordo della “Dalmacija” la pomeridiana traversata (uno scherzo di poche ore, l’Adriatico è davvero un mare a misura d’uomo) da Pola a Venezia aiuta a meditare, a riordinare le idee (ogni viaggio dovrebbe essere chiuso da un “bilancio”, beninteso non solo economico ma anche e soprattutto culturale, umano).
Ed ecco un arrivo a Venezia che avrebbe entusiasmato anche un vedutista del Settecento. A babordo il Lido, a tribordo gli Schiavoni, a sinistra San Giorgio, a destra piazza San Marco. Infine si entra nella Giudecca.
Ritorno nella Serenissima
Sabato. Venezia. Si sbarca dalla “Dalmacija”, al termine di una gustosa gita acquatica, una settimana a vedere cose belle (natura, storia, genti diverse) da una nave che, come già commentato, se per un verso non nasconde l’età (ma chi affronta questo tipo di crociere non goderecce perché non interessato a lustrini, discoteche, neon e paillettes, sa apprezzare anche la patina del tempo) possiede però le appropriate dimensioni per infilarsi nei posti giusti, intriganti, che sovente sono quelli reconditi. E a tale proposito, soltanto quella memorabile navigazione, una volta fagocitati dalle Bocche di Cattaro, “varrebbe il viaggio”.
Post Scriptum. Una doverosa informazione per gli aspiranti croceristi nell’Adriatico orientale. Quanto narrato è stato ammirato durante una crociera “Gemme dell’Adriatico”. La “Dalmacija” ha inoltre in programma le crociere “Le Perle dell’Adriatico”, il cui itinerario prevede le soste a Zara (il centro storico con escursione al magnifico Parco Nazionale dei Laghi di Plitvice) e a Curzola (isola considerata la patria di Marco Polo) in sostituzione dello scalo in Albania (Durazzo).
Scrivi un commento