Sci sulla Sierra Nevada

Sci sulla Sierra Nevada

Un viaggiatore ha un bel da percorrere un Paese in lungo e in largo, per tanti lustri, fino a credere di aver visto proprio tutto. E invece, no, gira e rigira c’è sempre qualche posto sconosciuto, qualche angolo dimenticato. E’ accaduto pure al qui scrivente e per di più in Spagna (pensa tu!), dopo decenni di forsennato girovagare automobilistico, aereo, ferroviario, ciclistico (e financo teleferico, perché ho pure trasvolato il porto di Barcellona con la funicolare diretta al Montjuich).

Della Spagna avevo raggiunto tutte le sue estremità, i quattro punti cardinali: a nord la gallega Punta da Estaca de Bares; a est, come se non bastassero gli scogli più orientali della Costa Brava, nella Spagna peninsulare, i promontori di Menorca antistanti la Sardegna; a sud le Colonne d’Ercole di Punta Europa (ma sono stato pure a Ceuta e Melilla); a ovest gli spruzzi atlantici sulle scogliere di Hierro (l’isola Canaria più occidentale, il meridiano zero dai tempi dei Romani fin quando gli Inglesi non si fregarono anche quella riga ideale e convenzionale portandola a Greenwich). E della Spagna mi ero anche infilato nei posti più reconditi: valli pirenaiche alla ricerca del Romanico; villaggi extremeños sulle orme dei Conquistadores; piccoli pueblos dove le frastagliate coste del Mediterraneo hanno protetto pittoreschi insediamenti.
Un bel giorno tiro i conti, pressoché certo di aver calpestato quanto meritava di essere visto a sud dei Pirenei. Invece no.

Coprendo su un ideale “jigsaw” della Spagna città e province, comarcas e regioni già note, scopro un buco chiamato Alpujarra (anche al plurale, las Alpujarras): ovvia non meno che immediata la decisione di partire per questa terra montagnosa tra il Mediterraneo e la granadina Sierra Nevada. E’ così (per la famosa teoria dei fatti concatenati) che sono diventato amico di Fernando Lopez Cifuentes e della sua dolce sposa, titolari, in quel di Capileira, della lieta Finca Los Llanos (il cui dèpliant costituiva l’unico documento scientifico in mio possesso alla vigilia dell’esplorazione alpujarreña). Grazie al suo status di terra inaccessibile (le guerre, gli odi e le pulizie etniche sono vecchie quanto l’uomo) l’Alpujarra vanta una storia intrigante, perché perenne rifugio del perdente di turno.

Un paio di secoli avanti Cristo accoglie le etnie locali incalzate dalle legioni di Roma. Circa mille anni dopo, sconfitti dagli Arabi, vi trovano rifugio i Visigoti che avevano sostituito i Romani. Nel 1492 i Reyes Catolicos cacciano da Granada i Mori, il cui re, Boabdil, chiede e ottiene la Alpujarra a mò di contentino e come isolato alloggio per i fedelissimi che lo seguono nell’esilio.
Il tempo passa e poco più di un secolo dopo, tanto per non prendersela soltanto con gli Ebrei, la monarchia spagnola espelle dall’Alpujarra i Moriscos sostituendoli con Castigliani e Galiziani. Fine delle più importanti vicende storiche di questo lembo della montagna andalusa con vista-mare, non senza una breve, curiosa e sapida chiosa. Portatisi appresso il maiale – animale proibito dagli occupanti musulmani –
i citati spagnoli del nord cominciarono ad allevarlo, per la produzione del magnifico jamòn noto come granadino, in realtà alpujarreño.

El Jamòn, il prosciutto alpujarreño o ‘granadino’

Prosciutto Granadino, dall'aria pura delle Alpujarras (e la salsedine del vicino Mediterraneo...)....

Prosciutto Granadino, dall’aria pura delle Alpujarras (e la salsedine del vicino Mediterraneo…)….

Il prosciutto, si sa, si sublima soltanto in climi perfetti. Ne consegue che la Alpujarra è sinonimo di aria pura, leggera, secca, raffinata e resa soave dalle brezze mediterranee sposate con i venti della sovrastante Sierra Nevada (dalle cime perennemente candide, a queste latitudini).
Fernando Lopez non limita le spiegazioni alla mera teoria e mi porge generosi assaggi provenienti dal suo secadero (locale di stagionatura del prosciutto) a pochi passi dal ristorante della finca. Inarrestabile lavoratore – come i montagnini di tutto il mondo – il mio attento ospite e la sua non meno alacre signora informano che, ovviamente, la Alpujarra non è solo sfizio gastronomico (ancorché nel weekend file di automobili provenienti dalla costa e da Granada posteggino davanti ai ristoranti di Capileira, Trevelez, Bubiòn, Pampaneira). Il viaggiatore che sta scoprendo questo remoto angolo di Spagna ammira pure panorami eccelsi, gode ecologiche gite a cavallo, può persino partecipare a corsi di ceramica.
Il piacere della semplicità
Ma ciò che ancor più appaga spirito e mente – confesso a Fernando all’arrivederci – è la serena pace del mattino, benedetta da un’aria tersa e rigeneratrice sotto le vette del Veleta e del Mulhacen, i maestosi picchi della Sierra Nevada, dall’altra parte, a nord, la splendida Granada.
Di ciò aveva bisogno Gerald Brenan, quando alle fine della prima Guerra Mondiale fuggì dal ricordo delle trincee intrise di sangue e si rifugiò nell’Alpujarra, a Yegen, un paesino di poca gente intrisa di tanta umanità (ma bando alla spiritualità e si caschi nel prosaico aggiungendo che colà vive e produce meravigliosi jamones Josè Muñoz Soria, da tanti anni fornitore ufficiale del qui presente scrivano) .
Al termine della lettura del suo “A sud di Granada” si è capito qualcosa di più sul significato della parola “vita”. Faccia un salto nell’Alpujarra il lettore curioso che visita Granada o percorre la bella Costa Granadina o Tropical, certamente uno dei più bei litorali del Mediterraneo spagnolo.

per mondointasca.org 7/9/2007