Un uomo solo al comando (l’anfitrione, “patron” della ‘matanza’) … nella foto di copertina: come preparano (eppoi degustano) il ‘nimèl’ in Ecuador (e lo chiamano ‘Fritada’…)…..

N.B. I cortesi lettori vegetariani, gli animalisti e (pure!) i vegani, nonché, con tutto il più doveroso rispetto, i credenti nelle altre due grandi religioni monoteiste sono cordialmente avvertiti nonché pregati di non avventurarsi nella lettura di quanto segue ..… anche perché, oltre all’importante dettaglio che “non siamo fatti di legno” e tenuto conto che (e non mi riferisco a quella suina) “la carne è debole”, chiedo perplesso cosa cacchio c’entra il qui scrivente se a tant(issim)a gente piacciono il salame (quei baloss dei novaresi lo affondano addirittura nella douja, grasso allo stato puro), il porsùt (in Romagna – Emilia, sennò, nel resto del Belpaese, detto anche prosciutto), dopodichè, alla cosiddetta gente, piace moltissimo anche il lardo, la coppa, la pancetta, i ciccioli (grasùl in Romagna) e c’è financo chi degusta piacevolmente (beninteso previo riscaldamento sulla piastra) l’orecchia del porsèo (nel Veneto, altrove, invece, noto come maiale, porco, ma in Emilia diventa nimèl, invrce purscèl per i lumbard Renzo & Lucia) …il tutto per far riferimento a un divino (almeno per i parigini ammattenti per gli zampetti ammanniti alle Halles chez le Pied de Cochon) animale che in Spagna è noto come cerdo, puerco, cochino, marrano, gorrino (e forse non sarebbe ancora finita…per non parlare del Pata Negra, il  jamòn a prova di colesterolo (!) sul quale ho disquisito nonché scritto una sorta di Summa Antologica…), mentre nel centro e sud America (salvo in Brasile, laddove si parla di porco, mentre porçao significa porzione) il Nostro, portato dagli ispanici descubridores, è chiamato chancho (e nell’Ecuador prende il nome di Fritada, ma solo previa doverosa cottura “alla fiamma”… ossidrica … per chi non ci crede, vedi foto..)…. Per concludere, una bella giornata divertitamente suinoculturale, tanto da piacere (da matti) a un Vip sbafante, Lìder Maximo degli Accademici Cucinieri (estremamente non meno che seriosamente – ma anche stranamente, in fondo si tratta solo di pappare – paludati durante i loro periodici ranci).
Evviva Rivergaro! Abbasso l’Alka Seltzer! Viva la Matanza!

Più infami di Franti, correi, o quantomeno assistenti al suinicidio, senza il minimo cenno di pietà … quanta colpevole  indifferenza …

Dopodichè, datosi che “E’ del poeta il fin la meraviglia” (Giambattista Marino) eccomi a stupire l’aficionado lettore informandolo che il maiale, alla faccia di essere stato dotato dal creatore di due cosce due, di Culatelli divini, nel senso di buoni, anzi ottimi, ne produce (ahinoi) solo uno. Eh sì, perché (dovevo arrivare fino  alla mia matusiana età per saperlo, e vabbè, non è mai troppo tardi) su una delle due cosce il porcello si stravacca, o, per meglio dire, si si acccomoda invariabilmente (sempre, mai una volta che si sbagli, o che gli venga una botta di curiosità ponendo l’altra chiappa). Col tragico risultato, però, che il tessuto carnoso (della natica a contatto terra) si indurisce. Ma siccome, alla fine della fiera i conti tornano, facile evincersi che l’altra coscia (quella all’onor del mondo) si sviluppa e cresce in grazia di dio, nel verso giusto (non parliamo, poi, se nelle ben aerate terre del preappennino piacentino). E allora, vai col Culatello!

Conclusioni macrobiotiche della “matanza” piacentina.

NB Non so bene che fine faccia “l’altro Culatello”, il Number Two, quello usato dal suino per il meritato riposo, e che definirei ‘della Mutua’ in quanto, presumibilmente, durissimo, ma troverò pur sempre un esperto sommelier, astuto non meno che lasarùn, che sconfinando dal bere a lu magnare, sentenzierà: “sapore dotato di aromi e profumi di terra, e vabbè, letame in cui potrebbe anche nascondersi un lontano profumo di mentuccia” (e vai, coi gonzi che accennano sorrisini di compiacimento ….). Chissà, potrebbe anche finire in qualche ristorante stellato (il Culatello precario, non il sommelier), anche perchè, coi prezzi che ivi sparano, mica ti puoi lamentare di mangime che ti è costato metà di mazzetta cuccata a quel businessman dell’edilizia.
Insomma, per farla breve sono finito a Rivergaro alla per me ormai rituale (sono stato invitato per la terza, o forse quarta, volta, un onore) canonica Mattanza laddove, più longobardianamente, mi riferisco al rito del Mazàa el Purscèl (e come detto, animalisti, vegani etc etc non rompano le balle, sennò precisino come – senza ingoiare quei due o tre kili giornalieri di Culatello – potrebbero campare i più di due miliardi di esseri umani esistenti su questo sfigato pianeta, isole comprese).

Per guidare un’auto, non basta la vocazione, occorre anche una certa tecnica (e il telefono di un carro attrezzi…)…

E a Rivergaro, pronubi pure un po’ di sorsi di Gutturnio, nettare loci, rieccomi a riscoprire (come passa veloce un anno) gente che vorresti tanto poter vantare come amica, nonché tutti i parenti e i parenti dei parenti del Nicola (in primis il Amedeo, co-matachìn nonché  patron et maitre à penser dell’Happening). Quel Nicola, che, ormai in vista della location mattanziale,  s’è messo in testa d’essere il Munari (mai troppo ricordato, grande pilota di rallye). Col risultato che per tirar fuori l’auto dal fango (che più appiccicoso e incazzato di così, non si poteva) non è restato che attendere un salvifico carro attrezzi.
Altri ricordi e irrinunciabili ideali? Fegato di maiale con la rete; ciccioli belli caldi (e profumati); anatra col panettone; fagioli con le cotiche; sbrisolona; gorgonzola portato dal Nicola; e cultura variè (sapevate che in Emilia si dice la sale?).     

per mondointasca.org