INDIA, KERALA ZIBALDONE (1)

Laddove, arruolato in un ‘trip’ della Kesari Tours, vado a scoprire incredibili acque interne, misteriose medicine, profumate spezie e recenti tracce dei ”2 Marò” (nonchè più edificanti ricordi di Vasco da Gama)
gpb x mondointasca.org del 23/5/13

Trivandrum, bus e architettura inglese Imperial

Trivandrum, bus e architettura inglese Imperial

Spezie, Backwaters, Ayurveda e Marò. Tra i ricordi di precedenti viaggi nel sub-continente indiano, ecco la nuova scoperta, storica e attuale, delle bellezze e del fascino globale della ‘Terra del Signore’

Kerala, finalmente eccomi. Dell’India – oltre, viene da dire ‘ovviamente’, all’odierna Mumbai ex Bombay – avevo visto i soliti, canonici posti nel nord: Delhi, Jaipur e ad Agra quel meraviglioso esempio della creatività umana chiamato Taj Mahal, (ahi, quei multicolori intarsi nel marmo e quella elegante non meno che perfetta cupola poi scopiazzata a Montmartre!). Ed ero stato – inclusa una non gaia visita agli inquietanti ghats di Benares-Varanasi – anche nell’East, a Calcutta, complice un match tennistico di Coppa Davis (nei Viaggi & Sport che organizzavo, oltre ai muscoli facevo andare anche la testa, mia e altrui).

Finalmente in Kerala
Più recentemente, eccomi nell’India occidentale, nel Gujarat di Gandhi (e non solo, perché oltre alla leggenda del Mahatma tante e svariate altre vicende umane e di madrenatura attirano il viaggiatore). Mi mancava però il Kerala, da aggiungere ai citati e archiviati posti dell’India, quella meridionale regione del subcontinente indiano (e Stato tra i 28 dell’Unione Indiana, 38.863 chilometri quadrati, più di 33 milioni di abitanti) su cui chissà quante volte posi il ditino vagante sulle scolastiche carte geografiche.

‘Scoperte’ portoghesi: dall’India al Brasile!
Oltretutto almeno sulle sue coste avrei dovuto finirci ben prima, stante la mia eterna aficiòn a storia e geografia. Perché lì facevano rotta gli esploratori marittimi portoghesi (‘brevettati’ alla Scuola nautica di Sagres voluta da Enrico il Navigatore, una vera e propria Cape Canaveral ante litteram!) ma non per occupare terre e farle lavorare dai nativi (come fecero i conquistadores nelle altre Indias, quelle occidentali) bensì per fare il pieno di redditizie spezie e venderle in una rinascimentale Europa che anche a tavola si era raffinata. Che lussuoso piacere aggiungendo semi o radici o scorza di piante portate da esotici lidi, insaporire cibi insulsi, protrarne la conservazione e financo celare sgradevoli odori. Un gastronomico (e igienico) evviva vada dunque, oltre che ai navigatori lusitani, a pepe e coriandolo, garofano e mostarda-senape, noce moscata e cumino, curcuma e zenzero, aglio e cannella, nonché tante altre spezie dispensate da questa (recita lo slogan del Kerala) God’s own Country, Terra del Signore (mancava solo il tè e a quello pensarono i British un paio di secoli dopo). Non paga delle citate ricchezze, poi, la keraliana costa del Malabar, primo approdo di Vasca da Gama Calicut-Kozhikode poi Cochin, costituì il trait d’union tra Lisbona e l’estremo Oriente, Giappone e Cina, da cui un paio di dorati secoli di traffici e cultura. (E aggiungo poi, breve inciso e curiosa chicca, che ai portoghesi la Rotta delle Spezie fruttò pure una gran bella fetta di ‘Sud America’. Era infatti diretto in India Pedro Alvares Cabral, nella primavera del 1500, se non che una tempesta spinse le sue navi sulla sponda opposta dell’Atlantico, nel Brasil maravilhoso, quando si dice il sedere!).

Ayurveda, disciplina universale

Bella (ed eegante) manager del Resort Carmelia

Bella (ed eegante) manager del Resort Carmelia

Più recentemente, all’interesse generato dalle citate vicende storico-geografiche, il Kerala aveva aggiunto l’appeal della salute (ma fa più chic parlare di benessere). Mi riferisco alla medicina Ayurvedica – da Ayur, vita e Veda, conoscenza – tanto ben sbandierata da potersi affermare che Kerala e la magica parola di sanscrita origine sono ormai sinonimi. (E detto tra noi, allo scrivente – diffidente quando si parla di mode e gusti del momento – l’inflazione di proposte a sperimentare questa antica scienza, mi ha lasciato un filino perplesso: la quantità, si sa, va sempre a scapito della qualità). Il più sud occidentale dei 28 Stati del Bharat-India possedeva pertanto sufficienti richiami per attirare il turista italiano.

Vicenda Marò, uguale a ‘promozione Kerala’
Ma come se non bastassero le già esposte attrazioni pro l’incoming turistico dall’Italia ecco un altro, curioso, contributo pubblicitario (perché l’importante è che un nome appaia, giri, nel bene e/o nel male) invitante a un viaggio nel God’s Own Country. Alle bellezze di madre natura, alla storia delle imprese marittime portoghesi profumate dalle spezie e alle promesse di mens sana in corpore sano fornite dalla medicina Ayurvedica, il Kerala ha, infatti, aumentato la notorietà perché scenario della, a tutti ben nota, Guerra dei 2 Marò. Originato nelle acque del Mare Arabico e proseguito a Cochin, questo match India-Italia (si spera soltanto politico-diplomatico, nonostante i bellicosi tentativi dello scomparso Governo Monti) ha prodotto una benefica azione di pierre allo Stato delle spezie (nonché delle Palme, dicesi che Kerala derivi da Kera, palma da cocco, e Alam, terra). Non è da escludere che ultimamente alcuni italici, beninteso più viaggiatori che turisti, abbiano deciso un salto nel Kerala (anche) perché intrigati dalla vicenda. Modestamente io sono tra quelli che ritrovatomi a Cochin, ‘già che c’ero’, da sedicente non meno che goffo inviato speciale ho pure tentato uno scoop recandomi all’albergo a lungo abitato dai 2 Marò non senza procedere a interviste e foto varie. Di ciò, ma soprattutto delle tante altre (ben più importanti) esperienze della mia gita nel Kerala combinata dal bravo tour operator Kesari (amici indiani giustamente accettanti le mie dichiarazioni di non belligeranza) ……. riferirò nella prossima puntata. (1)

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INDIA, KERALA ZIBALDONE (2)

Approdato a Cochin, a imitazione di Vasco da Gama (ivi a lungo sepolto) e degli ormai noti 2 Marò (sopralluogo all’hotel che li ospitò), nel Kerala, Terra di Dio
gpb x mondointasca.org del 29/5/2013 – nella foto di copertina: famiglia indiana su elefantaxi

Colore (tanto....)

Colore (tanto….)

Per scoprire una natura particolare: mare, lagune, fiumi, canali, ponti. Un vero “rebus” geografico. Poi l’attualità con l’infinita vicenda Marò e i misteri della complicata lingua locale

Nel precedente zibaldoneavevo segnalato le curiosità che mi spronavano a visitare il Kerala, Stato dell’India sudoccidentale da un po’ di tempo assai à la page nel Belpaese. Oltretutto non facevo poi tanta fatica a giungervi, distando solo un’ora e mezzo di volo dalle sudoccidentali Maldive. Atolli sui quali mi ero recato in gita precipuamente per tre motivi. In primo luogo oltre a ottemperare al must-obbligo di vederle e descriverle (avevo sentito dire che erano belle) avrei riempito un’altra casella dei “posti visti” (una demenza? sarà, ma non sono il solo, e comunque, nel carniere, di prede ne ho già collezionate 113). Inoltre stavo correndo il rischio di essere l’unico italiano che “non era mai stato alle Maldive” (infamante vergogna denotante sfiga). Infine, compiendo una contestuale gita in India e alle Maldive, a distanza di 671 anni ripercorrevo l’itinerario del tangerino Ibn Battutah (Grande Viaggiatore, lui sì, detto anche il Marco Polo dei musulmani) che, oltretutto, in quegli atolli fece carriera divenendo financo il Qadi, governatore.

Le meraviglie del Malabar

Kerala... nerazzurro...

Kerala… nerazzurro…

E bene ho fatto ad arruolarmi in un famtrip per stampa e facenti viaggiare programmato (dal tour operator Kesari e guidato dal giovane, paziente manager, Ninad) nella regione la cui costa risponde all’intrigante non meno che esotico nome di Malabar: se avessi aspettato ancora un po’ anche stavolta rischiavo di ritrovarmi nello sfigato status di “unico italiano che non era mai stato (nemmeno) nel Kerala”. Perché in questa terra del subcontinente indiano dopo le visite di esploratori e mercanti portoghesi (per far soldi con le spezie) e dei britannici (per far soldi con il tè) sono recentemente subentrate frotte di miei connazionali che, invece, i soldi li vengono a spendere girando nei barconi sulle Backwaters e (soprattutto) cercando l’eternità tramite la medicina Ayurvedica (curarsi da un santone induista invece che alle Terme di Bacedasco, vuoi mettere?). Dopodiché ai tanti italiani già presenti nel Kerala alla salutare ricerca della latina mens sana in corpore sano in salsa sanscrita (come già informato Ayurveda significa conoscenza della vita) si sono aggiunti pure i due (ormai storici) Marò. Baldi giovanotti ritrovatisi Eroi a Roma (presente Enrico Toti e Nazario Sauro? vabbè la politique d’abord ma est modus in rebus) ma non a New Delhi, da cui, mesi fa, una quasi guerra (che forse forse l’India ci avrebbe dichiarato se si fosse perpetrata la magliariata di venir meno alla parola data).

Sulle tracce dei “Marò”
Ma eccomi, fortunatamente non meno che pacificamente, nell’agognato Kerala: e inizio le cronache proprio a Cochin, città della cattività dei 2 Marò. Una cattività non tragica, ben peggiori furono quelle del Conte di Montecristo e, nel ghiacciato Spielberg, di Silvio Pellico (non parliamo poi di Maroncelli). Una prova? Lo sgub (peggiore soltanto, se mai possibile, a quelli di Biscardi nel Processo del Lunedì) da me compiuto all’hotel Trident (5 stars business luxury hotel, “lo dice” wikipedia) intervistando il personale e fotografando piscina e altri ameni locali sociali. Così scoprendo che nella animata Cochin i 2 Marò – liberi di andare dove e quando volevano, in un raggio di ben 15 km – non se la spassavano poi così male (adesso, invece, chissà che palle nella seriosa e burocratica nostrana ambasciata a New Delhi).

Cochin tra acqua e terra
Cochin è infatti una città che vale una visita e comunque ti fa passare del tempo … fosse solo per tentare di capire come cavolo è fatta: tra il mare e la terraferma una confusione tremenda di penisole (Mattancherry, ma vai a sapere, ci vuol poco ad aprire un canale) o isole (Willingdon Island), corsi d’acqua, lagune (però chiamate laghi) pochi ponti percorsi da un traffico viepiù incasinato dallo stop per il pagamento del pedaggio. E’ solo l’antipasto di quel menu di Acqua e Terra servito nelle quasi infinite Backwaters, una esclusiva nonché gran bel fiore all’occhiello del Kerala, quindi eccellente appeal turistico che commenterò nel prosieguo di questa gita in India.
Fra le insidie del Malayalam

Houseboat nelle Backwaters

Houseboat nelle Backwaters

Nel Kerala, Cochin (vecchia denominazione, coloniale, come Bombay adesso Mumbay) può vantare Business (il porto, vedi Vicenda 2 Marò) e Storia (Portoghesi, ‘500 e ‘600, e Olandesi, ‘700) mentre l’ex Trivandrum (respirato profondamente provo a scrivere il nuovo nome: Thiruvananthapuram, beninteso proseguirò con il nome più famigliare alla Regina Victoria) è capitale dello Stato e quindi profuma più di British Empire. Ma se si parla di genti che hanno risieduto a Cochin la palma della durata spetta agli Ebrei, probabilmente (avverbio, se si parla di Storia, da usare con maggior frequenza) giunti ai tempi del Re Salomone (forse meglio riferirsi al 1° secolo d.c.). Più precisamente, è datata 1568 la sinagoga Pardesi (foto dell’interno su richiesta: che bello trasgredire i divieti ancorché senza poter usare il flash) e la bellezza di certi dettagli (candelieri dal Belgio) è ridicolizzata dalla magnificenza del pavimento: piastrelle decorate a mano, a Canton, Cina (e bravi gli Ebrei di Cochin, che – informa wikipedia – vestivano all’indiana e parlavano il malayalam, la dravidica lingua del Kerala).