per mondointasca.org del 5/10/06 (nella foto di copertina, la Ikurriña, bandiera basca)
Antefatto (ovvero: prima puntata)
Carlos Hernandez, “Jefe Supremo” del Turismo Spagnolo nel “Milanesado” (due secoli di Spagna a Milano – non nel senso di manifestazioni turistiche invitanti a sud dei Pirenei – che seguirono le invasioni francesi e anticiparono un secolo e mezzo di occupazione austriaca, per una presenza straniera di quasi quattro secoli durante i quali fungemmo da domestici) mi informa che c’è un “viaggio stampa naturalistico ed enogastronomico” nei Paesi Baschi e contestualmente mi chiede se voglio parteciparvi.
Prima ancora di rispondere un fulmineo “Sì!” dall’entusiasmo inferiore solo al piacere di tornare a vedere posti a me cari, ho già in mano lo spazzolino da denti e chiamato un taxi per correre a Linate. La partenza – ovviamente, e non solo perché la gente perbene non invita mai in “zona Cesarini” – non è così immediatissima come la frenesia di partire mi aveva suggerito e pertanto faccio in tempo a dotarmi anche di dentifricio, biancheria e ombrello (da quelle parti piove invero con una certa abbondanza; nessuno è perfetto).
Con le ali di Air Nostrum
Da Linate si vola a Barcellona ma colà giunti si scopre che la “connection” Iberia per Bilbao partirà con almeno due ore di ritardo. Carlos fiuta un grosso pericolo e ci “riprotegge” (sto usando un buon gergo tecnico quasi fossi stato una hostess di terra) infilandoci su un volo per Pamplona (di lì si sarebbe proseguito in pullman per la città basca). Si tratta di un volo Air Nostrum, un filino incasinato almeno per quanto concerne i nomi e la rèclame: sull’aereo c’è infatti scritto Comunidad Valenciana ma a bordo trovi “folletos” turistici invitanti in Cantabria e noi stiamo andando in Navarra.
Ma quel che conta sono le cose concrete, ed ecco allora che – alla faccia dell’Alitalia che sui Milano-Roma non ti passava “lu magnà perché non c’era tempo” e dell’Iberia che adesso “lu magnà te lo fa pagà” – questa spettabile compagnia regionale, nonostante gli spazi di un “aeretto” invero minuscolo, ci ha servito un signor breakfast con tanto di caffelatte in eleganti tazzine di ceramica e dolcetti vari in abbondanza; pertanto, Franzia o Spagna purché se magna, Viva la Comunidad Valenciana, la Cantabria e la Navarra!
Guggenheim, dentro e fuori…
Arriviamo a Bilbao in tempo per scongiurare il grosso pericolo temuto da Carlos e consistente nel non gustare – causa ritardo arrivo – il delizioso (è dir poco) pranzo ammannitoci dal grande non meno che giovane Josean Martinez del ristorante del Guggenheim (menu dettagliatamente offerto ai lettori di Mondointasca – almeno a livello grafico – nel precedente numero di Gossip). Segue la visita del Guggenheim che il qui presente scrivano non si stanca di vedere e rivedere, ogni volta di più affascinato, sempreché, però, si intenda “vederlo da fuori”: tragicamente ignorante e pure incapace di capire l’arte contemporanea, il qui scrivente si aggira infatti all’interno del museo pervaso da un forte senso di sbandamento e incertezza; non capisce, quasi si sgomenta di fronte a lamine di ferro che si stanno arrugginendo, pezzi di acciaio saldato che a lui poco dicono, anzi nulla suggeriscono, da cui la sua decisione finale che la grandissima bellezza “esterna” del Guggenheim è inversamente proporzionale al contenuto.
La “faccia” nuova di Bilbao
Meglio (della visita “dentro al Guggenheim”) il “giro della città”, durante il quale chi aveva conosciuto il capoluogo basco prima della costruzione del museo di Gehry si rende conto quanto possa contare una costruzione di rilevante importanza artistica nelle fortune di una città.
Il Guggenheim si è infatti rivelato un magnifico “volano”, parolona usata spesso dai nostrani politici per sbalordire, fare colpo, se non che dopo tanti blablabla il “volano” prende il “volo”, scompare e tutto resta come prima. Quello della città basca è un motore che ha prodotto grande impulso all’immagine e ai destini turistici di Bilbao. Da squallido centro industriale, un tempo nemmeno sfiorato dal tempo libero, la città si è lasciata alle spalle cantieri ormai in crisi irreversibile, ha abbattuto ciminiere di industrie superate nel tempo e contestualmente al Guggenheim ha “ripittato” i suoi edifici, ha costruito auditorium e altri centri di incontro e di cultura, ha modernizzato il metrò facendolo firmare (Foster) a un asso dell’architettura.
Giù il cappello, e tanto per essere sempre polemici quel che basta, un riverente pensiero a Genova, che a suo tempo ridotta più o meno come Bilbao, non si solleva da un torpore più simile a un’agonia.
Le delizie dei Pintxos
La visita di Bilbao prosegue con un giro della Plaza Nueva (al centro della città vecchia) sulla quale si affacciano ben “quindici Pintxos/Pinchos quindici, laddove si intendono i bar nei quali sono ammanniti quei gustosissimi stuzzichini, meglio dire minirazioni su pane che vengono “pinchadas” (forate) da uno stuzzicadenti per essere sollevate, chiamati “tapas” nel centrosud della Spagna.
Il più lodato dei quindici bar della piazza? Secondo gli esperti è Zuga e questa sorta di classifica non sembri stranezza. A Bilbao si disputa annualmente un vero e proprio campionato di pintxos, con classifiche e premi: l’ultimo trofeo, la “Chapela de Oro” – un basco di dimensioni un filino più grandi del normale – è stato assegnato dal bar Globo, calle/kalea Diputaciòn 8. Meglio comunque interrompere la descrizione di ghiottonerie (sennò il cortese lettore potrebbe pensare che lo scrivano vada in giro solo per mangiare) e passare alla narrazione di momenti meno prosaici, come le ore dedicate a Vitoria/Gasteiz, capitale del Paìs Vasco nonché della terza provincia basca, Alava/Araba. La città (tra le prime località spagnole per qualità della vita) merita una visita della parte vecchia con soste nel bel Museo Fournier delle Carte da Gioco (forse unico al mondo, vale il tempo impiegato) e nell’enorme cantiere (gestito da una fondazione) dedicato al restauro di una massiccia cattedrale, una severa quasi-fortezza lungo le mura medioevali, abbellita da un bel gotico flamenquero.
alla prossima (e ultima) puntata …
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2° PAESI BASCHI … SI CONCLUDE LA GITA (SECONDO E ULTIMO CAPITOLO)
Dove nacquero i Gesuiti – Il Museo Chillida – Sidra e ikurriña a Hernani
Prosegue la weekendistica gita “enogastronomico e culturale” nei Paesi Baschi (per le cronache ufficiali: Famtrip Stampa organizzato dal Turismo Spagnolo milanese e dal Turismo del Paìs Vasco). Ho narrato la sosta a Bilbao, con l’ennesima visita al museo Guggenheim, che – secondo il mio modesto parere derivante dalla aficiòn che provo per l’arte d’antàn – è tanto bello ‘fuori’ quanto impossibile da capire ‘dentro’. Niente di personale… sono un vecchio signore che ama Goya e il Canaletto.
Ho pure descritto il sopralluogo a Vitoria (Gasteiz in basco), vantante un bel Museo, per certo singolare quindi meritevole una visita e una cattedrale che, una volta restaurata, “varrà il viaggio” per il contenuto storico e artistico che una fondazione sta per riportando alla luce.
Laguardia, terra di vino e di antiche pietre
La cittadina di Laguardia
Lasciata Vitoria, cresce in me l’emozione nel ritornare nella Rioja Alavesa, quella parte della Rioja (la regione più vinicola della Spagna, oggidì pure Comunidad) che alla nascita delle Autonomìe della Spagna post-franchista entrò a far parte della provincia di Vitoria (Alava, in basco Araba) e quindi del Paìs Vasco.
Il lettore prevenuto nei confronti della mia esecranda sete vinicola sorriderà nell’apprendere la mia gioia avvicinandomi a una terra che di fatto è solo ed esclusivamente vocata e votata alla vite. Invece no, qualche sorso ci scappa sempre e ovunque, d’accordo (riuscii a tirare su una bella “ciucchina” di Cabernet Shiraz financo ad Atlanta, capitale mondiale della Coca Cola) ma se si parla di Rioja Alavesa ecco il mio pensiero andare alla bella Laguardia.
E giunto a Laguardia, eccomi correre a rivedere la “portada gotica” in pietra della chiesa di Santa Maria de los Reyes. Già la stessa chiesa merita qualche minuto di attenzione, ancorché gli stili si siano accumulati in eccesso sul duecentesco romanico lombardo. Fin qui, tanto distante dai manzoniani monti – e un filino di orgoglio per gli “antepasados” miei paìs non nego che mi pervase- arrivarono (alcuni di loro umili “picapiedras” ma sapienti architetti in pectore, altri già Maestri nel costruire) i creatori del dolce quanto semplice romanico, provenendo da una terra talvolta già individuabile nel loro stesso nome (molte chiese romaniche dei Pirenei furono erette da Ramòn Llombard).
Dalle “grotte” di difesa, alle “bodegas”
La splendida “portada gotica” risale al Trecento e vanta una magnifica policromia del XVII secolo, perfettamente conservata grazie alla chiusura del portico avvenuta un centinaio d’anni prima. Lungi dal proferire bestemmie o procedere a classifiche sempre stupide e gratuite, secondo me questa “portada” ha poco da invidiare al Portico della Gloria della cattedrale di Santiago de Compostela.
Magnifiche le figure dei dodici apostoli, contornanti nel portale la non meno bella statua di Santa Maria de los Reyes. Ma una sosta nella murata Laguardia non si circoscrive soltanto alla citata opera d’arte. Sorta su una altura a difesa (guardia) del confine occidentale del regno di Navarra (nel 1164 re Sancho “el Sabio” le concesse il “Fuero”, lo statuto di città) l’ex piazzaforte propone anche una piacevole passeggiata nel Casco Medieval traforato da ben 230 passaggi sotterranei, scavati per evidenti ragioni strategiche. Venute meno le vicende belliche e aumentando invece l’importanza del vino (come detto la Rioja è in Spagna sinonimo di quello che fu il Chianti nel Belpaese, prima che la produzione della nostra bacchica bevanda si estendesse a tutto lo Stivale, isole comprese) le citate gallerie furono trasformate in Cuevas o Bodegas in cui degustare il caro nettare. Oggidì di queste “catacombe dell’ebbrezza” se ne contano pochissime: le case vinicole si sono ingrandite, parimenti alle loro fortune economiche, e abbandonata Laguardia hanno costruito nei dintorni megapunti di vendita talvolta pure dotati di ristorante e boutique (incredibile, poi, nella non distante Elciego, il fantastico albergo voluto dalla famosa Bodega del Marquès de Riscal e costruito da O’ Gehry a totale immagine e somiglianza del suo Guggenheim di Bilbao).
Dal misticismo di Azpeitìa ai fasti da San Sebastian
Tanti peccati di gola perpetrati nella Rioja Alavesa andavano immediatamente lavati con una opportuna espiazione. Cosa di meglio, pertanto, per i nostri anfitrioni, che condurci ad Azpeitìa nella casa natale di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti? Ma tanto barocco nella basilica (avrà anche rappresentato, come disse D’Ors, “una costante nel mondo della cultura”, ma eccessivi arzigogoli, ridondanze, svolazzi forse forse alla fine “stroppiano”), tanta fede assoluta e totalizzante tra le mura della magione-fortezza del santo e pure tanto (forse troppo) impalpabile misticismo -lo confesso e me ne scuso con chi “ci crede”…- non mi entusiasmano più di… tanto (sorryper la battuta).
Viva invece – almeno per l’umile gozzovigliante qui scrivente – la Belle Epoque che ci saluta con le eleganti costruzioni risalenti ai fasti che proiettarono San Sebastiàn tra le più divertenti e goderecce città di un’Europa avviata al disastro di due Guerre mondiali.
E a San Sebastiàn (ah… Donòstia in basco) viva le (da me) sempre invidiate e sognate Sociedades Gastronomicas, grandi istituzioni riservate alle sperimentazioni gastronomiche (non per niente la città vanta quindici stelle Michelin con soli 180.000 abitanti) giustamente “For Men Only” (le signore possono accedervi – e comunque non cucinare – solo nei giorni di festa e la vigilia dei medesimi).
Hernani (per la Festa della Sidra) super “essenza” dei Paesi Baschi
E -ciliegina sulla torta di una bella “Gita culturalbacchica” nel Paìs Vasco (o se si preferisce, più formalmente, Famtrip Stampa di Enogastronomia e Cultura)- eccoci alla Festa della Sidra a Hernani. A proposito di Sidra, mica ci sono solo le Asturie a produrne e consumarne in quantità: anche i Paesi Baschi si difendono e Astigarraba è la capitale di questo, dicasi per semplicità, vinello di mele.
Di località più basche di Hernani non ce ne sono proprio, e fu così che tra una ikurriña e un’altra (la bandiera biancorossoverde della Iparralde, la Terra Basca composta dalle tre province spagnole e dalle quattro francesi) nonostante l’assenza del buono vino riojano testè salutato, il sottoscritto riuscì a conquistare una doverosa non meno che giusta ebbrezza. Le vie del Signore sono infinite, non c’è Sant’Ignazio che tenga.
fine della 2a e ultima puntata
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PAESI BASCHI – 72 ORE A BILBAO E SAN SEBASTIAN IN 72 ORE
Full immersion suggerita nelle 2 località più importanti e intriganti del Paìs Vasco
Il piccolo Paìs Vasco potrebbe imprimere sulla Ikurriña, la bandiera che è qualcosa di più di un simbolo, il motto “viva le differenze” (dagli spagnoli)
Le differenze, rispetto agli stereotipi spagnoli, sono davvero tante, di ogni ordine. Prima in assoluto, il citato idioma, l’euzkera. Cosa rispondere a un signore che ti dice Ongi Etorri (benvenuto) – ma anche se ti accogliesse con Egunon (buon giorno) l’imbarazzo non varierebbe – dopodiché ti invita in un Jatetxea (ristorante) di Donòstia (San Sebastian)? Il minimo che si potrebbe opporgli è un laconico Gabon(buona notte). Sul basco hanno dissertato, e sorriso, in tanti, in misura inversamente proporzionale alle certezze raggiunte: si vocifera persino che nell’euzkera ci siano alcune parole derivate dal giapponese e da altri idiomi orientali.
Un’altra raffinata differenza appetto al resto della Spagna consiste nella gastronomia. Semplici, popolari, sapidi e decisi i sapori della cucina andalusa, castigliana, valenciana, quanto elaborati e composti quelli ammanniti dagli chef baschi. Non per niente San Sebastiàn dista meno di 30 chilometri dalla Francia e, guarda caso, tra città e provincia (Guipuzcoa) si registra la più alta concentrazione mondiale di stelle Michelin. Il mitico cocinero Arzak, il divo della gastronomia televisiva Karlos Arguiñano Baschi.
E differenza anche nello sport; basterebbe la benemerita invenzione della pelota (palla basca) giocata in cinque versioni nei tanti frontones (sferisteri) Jai Alai (Festa Allegra). Oltre a divertirsi nel segare tronchi a cronometro (Aizkolariak) e a sollevare massi di qualche quintale (disciplina dalla difficoltà inferiore solo alla lettura del suo nome basco: Harrijasotzaileak), i baschi vantano pure un isolazionismo footballistico degno di miglior causa, in un mondo del pallone che vede tante squadre europee competere con l’Onu quanto a nazionalità dei pedatori. Nello stadio di San Mamés, la Catedral, l’Athletic Bilbao (Bilbo) non schiererà mai un terzino o un centrattaccostraniero. Simbolo sportivo della gente basca, una sorta di Guernica pallonara – ben più della rivale Real Sociedad di San Sebastiàn, la società bilbaina tessera soltanto giocatori nati in loco.
Questi sono i baschi. E le loro differenze.
Il Paìs Vasco è inoltre l’anticamera di quella Spagna Verde – sempre più visitata – che per il viaggiatore proveniente dalla Francia, o dalla pirenaica Navarra, inizia a San Sebastiàn, prosegue tra le frastagliate coste del mare Cantabrico e i picchi dell’omonima Cordillera, attraverso Cantabria e Asturie, e termina sulle Rias atlantiche della Galizia.
Per chi non ama la bolgia delle solite turistopoli mediterranee o è reduce dalla canicola di una Plaza de Toros del sud (ma anche la nordica Bilbao vanta le Corridas Generales, ottima Feria a ferragosto), niente di meglio che concedersi settantadue ore tra Bilbao e San Sebastiàn, in due delle tre province della Comunidad, Vizcaya (Bizkaia) e Guipuzcoa (Gipuzkoa), la terza è Alava (Araba).
Un paio di raccomandazioni ai partenti: non fare i furbi alla guida e parcheggiando l’auto (quanto a severità, la Ertzantza, polizia autonoma basca, e i vigili urbani somigliano più ai bobbies londinesi che a un pacioso policìa andaluso); evitare di qualificarsi aficionados del Real Madrid.
Primo giorno: Bilbao
Museo Guggenheim
Ore 9 – In Spagna il desayuno (prima colazione) è robusto. Si faccia dunque un salto (fosse soltanto per un solo, il nostro espresso) al Cafè Boulevard in Plaza del Arenal o alla Cafeteria Escala dell’hotel ‘Ercilla’. Rallegrati dall’animazione del locale pubblico si passa alla visita di Bilbao.
Con tutta la simpatia per i bilbainos, prima dell’apertura del Museo Guggenheim un’intera giornata per visitare la città poteva risultare eccessiva, perchè lungo le rive del Nerviòn il culto industriale e dei traffici con i porti inglesi e del nord Europa ha sempre fatto aggio sull’estetica e sul frivolo, si è sempre badato al sodo e pensato poco al bello (in compenso, a Bilbao abbondano ottimi ristoranti e buoni alberghi: tra questi ultimi, valido il 4 stelle Ercilla e buono il rapporto qualità/prezzo del 3 stelle Nerviòn).
Il Casco Viejo, la città vecchia (per i bilbainos, Siete Calles) merita comunque una passeggiata di almeno 3 ore e mezza (9,30-13,00): al termine, dopo aver ammirato l’ensemble gotico e rinascimentale di San Antonio, la cattedrale di Santiago, il monumentale Mercado de la Ribera e la Estaciòn dei Ferrocariles Vascos (dall’interessantestile regionalista) e percorso il paseo dell’Arenal e le calles Ribera e Bidebarrieta, si avrà conferma che la Spagna di Madrid è decisamente lontana.
Mercato de la Ribera
Ore 13,00-13,30 – Altro rito da officiare a sud dei Pirenei, la visita di almeno un Bar de Tapas (stuzzichini, assaggi vari), suggeriti il Victor Montes in Plaza Nueva, e (entrambi nella Calle Licenciado de Poza) il Busterri e il Serantes.
Ore 13,30-15.00 – Tanto parlare della cucina basca per non provarla? Si goda quindi un almuerzo (pranzo) al Mandoya (un ‘onesto ristorante’, non un Tempio della Gastronomia basca) in Calle del Perro, nel Casco Viejo. Ma il grande appeal, il richiamo che da pochi mesi richiede uno stop di almeno mezza giornata (Ore 15.00-20.00) a Bilbao, è costituito dal Museo Guggenheim (martedì-domenica dalle 10 alle 20, chiuso il lunedì, a Natale e Capodanno, ingresso 8 €).
Appagate le esigenze culturali – e giunta l’ora di cena (Ore 21.00-23.00) – si compia un salto in auto (15 km) a Getxo (in spagnolo Guecho), località Algorta, al ristoranteCubita ricavato nel vecchio Molino di Aixerrota): il godimento di un bel panorama sulla trafficata foce del Nerviòn è seguito da una cena da sublimare con un besugo asado(pagello arrosto). Per chi preferisce restare in città, sulla Gran Via si propongono due scelte. Chi viaggia con un budget non entusiasmante opti per il non carissimoEstraunza, mentre il celeberrimo Guria vale esattamente quanto chiede: molto (ma non poi troppo, se rapportato ai costi gastronomici del Belpaese). Scelta atipica, per chi non vuol rinunciare al panorama di Bilbao eppoi a una cena a costo equo, il ristorante dei bravi allievi cuochi (richiestissimi dai ristoranti chic di tutto il mondo) allaEscuela superior de Hosteleria de Euzkadi.
Secondo giorno: Guernica e San Sebastian
Guernica
Ore 9.00-10.00 – Una quarantina di kilometri (autopista per San Sebastiàn fino ad Amorebieta, quindi la BI 635) da Bilbao a Guernica, per una sosta dai risvolti più storici che artistici.
Ore 10.00-12.30 – La visita alla Casa de Juntas e alla vecchia quercia (Guernikako Arbola) – simbolo delle libertà del popolo basco – fanno meditare, si va oltre il ricordo del capolavoro di Picasso ispirato dal bombardamento del 26 aprile del ’37.
Ore 12.30-13.30 – Poco più di venti kilometri lungo una strada secondaria, a Lequeitio (Lekeitio) sulla frastagliata costa del mare Cantabrico spezzata da profonde insenature e lunghe spiagge sabbiose. La chiesa gotica della Asunciòn (XV secolo) e la spiaggia di Karraspio abbelliscono questo pueblo marinero, rallegrato da bizzarreFiestas: il 29 giugno i dantzari ballano la Kaxarranca sopra una bara di legno; il 4 settembre, San Antolìn, nel porto si festeggia l’oca (facile intuire come, per la felicità del palmipede).
Ore 14.30-16.00 – Si goda l’eccellente qualità del pesce del Cantabrico con una sosta al Mesòn Arropain (nella vicina Ispaster) beninteso dopo un Txakolì per aperitivo (vinello locale, joven, fruttato, bassa gradazione, retrogusto un filino acido).
Ore 16.00-20.00 – Verso San Sebastiàn, da Leikitio a Deva (Deba), una ventina di kilometri, non v’è che la strada costiera, dopodichè chi non ama i percorsi con curve può anticipare l’arrivo a San Sebastiàn percorrendo 50 kilometri di autopista. Ma il pigro perderebbe i riposanti panorami marini di Zumaia e Zarauz.
Cuchi con gli attrezzi del mestiere
Ore 20.00-22.00 – Chi arrivasse soltanto verso l’ora di cena nell’accogliente Guetària (patria di Juan Sebastiàn Elcano, pilota di Magellano e primo circumnavigatore del nostro pianeta, in agosto feste che ne commemorano il ritorno) sbaglierebbe di grosso non sedendosi a tavola al Kai-Pe per gustare la Legatza barrilan (Merluza a la parrilla, nasello dell’Atlantico alla griglia, da non confondere con il bacalao, l’italiano merluzzo che sovente fa storcere il naso nei menu nostrani).
Si prosegue, con le belle spiagge di Zarauz a un tiro di schioppo da Guetaria (che oltre a Elcano vide la nascita del couturier Balenciaga, ci perdonino le anziane amanti della moda parigina per questa ritardata menzione), San Sebastiàn dista non più di un quarto d’ora di autopista. Si arrivi tardi o presto a San Sebastiàn (come accennato, chi legge Donostia non si preoccupi, è il nome basco della città) poco importa, è sempre l’ora di fare una capatina da “Sebastiàn” (sotto i portici del porticciolo del Casco Antiguo, la città vecchia) e ordinare un piatto di sarde alla griglia (Sardinas asadas) dall’umiltà di costo e valutazione inferiore soltanto alla ricchezza del sapore. Per i più religiosi, la giornata potrebbe essere spesa diversamente (senza sensibili variazioni di kilometraggio) sacrificando, dopo Guernica, i citati panorami marini per una visita ad Azpeitìa (casa natale di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti, interessante la basilica barocca).
Terzo Giorno: San Sebastian
Ore 9.00-9.30 – Anche a San Sebastiàn si dedichi qualche minuto desayunando in un bar con i Donostiarras, (assai animato il Kursaal, Ramòn Maria Lili 2, gran richiesta ditostada a la plancha).
Ore 9.30-14.00 – Inizia una visita eccitante, perchè San Sebastiàn, capitale della provincia di Guipuzcoa, è bella, intrigante ed elegante. Due monti, l’Igueldo a occidente, l’Urgull a est, sovrastante la città vecchia, e l’isola di Santa Clara – al centro dell’imboccatura – proteggono una splendida baia dalle dimensioni perfette, contornata da due spiagge, la Concha e Ondarreta, periodicamente modellate dalla marea. Divenuta capitale estiva del regno di Spagna alla fine del secolo scorso, promotore il giovane re Alfonso XIII, San Sebastiàn visse i fasti della Belle Epoque scambiando teste coronate e alta società con la non distante Biarritz.
La neutralità della Spagna nella prima Guerra Mondiale, che coinvolse la Francia, rese la città ancor più ricca e bella: lo prova, dal ponte del Kursaal (o della Zurriola) un colpo d’occhio sul teatro Victoria Eugenia, il lussuoso hotel Maria Cristina e i giardini circostanti. Eleganza d’antàn e tradizione alberghiera “stile Montecarlo” anche al 4 stelle Londres y Inglaterra sulla celebre passeggiata della Concha (chi accampa minori pretese non si lamenterà del 3 stelle Europa).
Plaza de la Costituciòn
Ma la San Sebastiàn viva, allegra e verace va scoperta nel Casco Antiguo, tra la basilica di Santa Maria e la Plaza de la Constituciòn decorata dai balconi tuttora numerati, nel Settecento tribuna per gli spettacoli taurini.
Chicca della grande tradizione culinaria di San Sebastiàn, le Sociedades Gastronomicas, più di 50 in una città di 180.000 abitanti: uniti dal solo desiderio di gozar de la vida(in qualcuno di questi Templi della Gastronomia le donne sono a malapena tollerate) signori di differente età, censo e professione si alternano ai fornelli della loroSociedad per ammannirsi a vicenda pietanze e dessert. Chi desidera visitare la più antica di queste confraternite, la Uniòn Artesana, vicino alla chiesa di San Vicente, è benvenuto.
Ore 14.30-16.00 – Si pranza a Casa Nicolasa, ove José Juan Castillo propone un menu spaziante dalle Huevos al plato con foie alle prelibate Crepes de rape (coda di rospo). Popolari per ambiente e costo – ma validi quanto a bontà del pesce – i ristorantini del porto pesquero sotto i portici che conducono all’Aquarium e al museo Naval
Ore 16.00-21.00 – Gita (20 km) al confine francese, nella bella Hondarribia (in spagnolo Fuenterrabia), due passi per il canonico shopping e una visita al castello ospitante il Parador.
Ore 21.00-23.00 – Ritornati a San Sebastiàn sarebbe un delitto non dedicarsi alla degustazione di pinchos (Tapa tipica dei Paesi Baschi) frios y calientes, per i donostiarrasuna vera e propria alta cocina en miniatura. Una consultata Guia de bares con sabor suggerisce dove conquistare le migliori banderillas (niente a che vedere con la Corrida: la banderilla, lo stuzzicadenti che serve per portare alla bocca una piccola Tapa, è divenuta, in senso lato, la Tapa stessa).
Al bar Ganbara, calle San Jeronimo 21 – dopo un variato shopping di ponchos peruani e articoli nautici nelle viuzze limitrofe – si degusta il croissant de jamòn (prosciutto), altri optano per l’Hojaldre con txistorra (pastasfoglia con salsiccia), mentre sul banco appaiono Gambas y esparragos rebozados (gamberi con asparagi impanati e fritti). Chi, dopo tante sfiziosità, non avesse ancora sconfitto l’appetito, percorrerà la Calle Fermìn Calbetòn e al Beti Jai (sempre festa) ordinerà un txangurro a la donostiarra(granseola gratinata). Così è. D’altro canto il detto “In Spagna il Sud canta, il Nord mangia” deve pur essere dimostrato dai fatti. Eppoi, non si era detto che il Paìs Vasco è proprio differente?
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