EDMONDO DE AMICIS GRANDE INVIATO SPECIALE IN SPAGNA
Un libro turistico vecchio più di 130 anni eppure ancora vivo e di attualità …. “Spagna, diario di un viaggio di un turista scrittore” di Edmondo De Amicis, Franco Muzzio Editore
Una bella sorpresa, soprattutto per gli appartenenti alle vecchie e sventurate generazioni obbligate alla scolastica lettura di “Cuore” del De Amicis, meglio noto come la Bibbia della sfiga più nera, il Reader’s Digest del dolore, l’Enciclopedia della disperazione (nel dubbio leggere il famoso Elogio di Franti di Umberto Eco).
Dopo tante e tanto tristi e triste pagine nessuno accrediterebbe all’autore scritti quantomeno non mortuari. Invece (in questo “diario di viaggio di un turista scrittore”) ecco un altro De Amicis che da corvaccio si trasforma in giornalista di razza, in inviato speciale di tutto rispetto e in acuto redattore ante litteram di Guide di Viaggio.
De Amicis compì un lungo viaggio in Spagna nel 1872 (sostò ben tre mesi a Madrid) durante il breve regno di Amedeo, figlio di Vittorio Emanuele II, percorrendo con tre differenti vettori (piroscafo, diligenza, treno) un itinerario ideale per un’ottima conoscenza del Paese: Barcellona, Saragozza, Burgos, le più importanti città andaluse e Valencia.
Il momento storico della Spagna era intrigante e ricco di interesse; sopravviveva l’orgoglio per gli eroismi della guerrilla contro Napoleone, era di là da venire la depressione della fine dell’impero (1898), l’industria faceva capolino nel nord mentre nella ruspante Andalusia le gesta dei bandoleros e le rusticane vicende di amore e di coltello non erano solo un ricordo.
Occorreva però un acuto e curioso visitatore per raccontare genti e vicende con grande precisione e accuratezza. Le descrizioni (valide financo più di 130 anni dopo) di una corrida a Madrid, della granadina Alhambra e della Mezquita di Cordoba, costituiscono eccellenti esempi di letteratura turistica.
Quasi quasi, invece di tante guide con eccessive gnagnere su archi e capitelli di chiese e palazzi dall’improbabile interesse, perché non suggerire al lettore di partire per la Spagna con questo sempre moderno racconto di viaggio del riscattato De Amicis?
L’autore
Edmondo De Amicis, come già accennato, l’immagine dello scrittore è eccessivamente legata a “Cuore” (1886) e a libri per ragazzi ispirati ai sentimenti patriottici (che al suo tempo contenevano tremende dosi di retorica). Dato che oltre a “Spagna” De Amicis scrisse anche “Marocco” (1876 ) Mondointasca scopre piacevolmente un ”collega” giramondo (almeno per quei tempi), brillante autore di resoconti di viaggio.
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2 STORIA DEL TURISMO SPAGNOLO NEL ‘MILANESADO”
BREVE (MA LUNGA) HISTORIA DEI ”JEFES” DEL TURISMO SPAGNOLO NEI LORO EX POSSEDIMENTI LOMBARDI… Guillermo, Mercedes, Ignacio, Carlos…
gpb per mondointasca.org del 15/2/12
La carrellata dei ricordi riguarda i diversi responsabili nel tempo che hanno guidato le sedi milanesi per invogliare gli italiani a viaggiare in Spagna. Con successo nel lavoro e ricordi curiosi della loro permanenza a Milano
Il recente grido di dolore sulle ‘serate viaggiatorie milanesi’ (presentazioni, workshop, canapè e spumantini) ha provocato in me un flashback (o come dicono a Rèmmin-Rimini e dintorni, un Amarcord) sulle vicende del ‘mundillo’ milanese del turismo.
E datosi che un po’ di proustiano Tempo Perduto è letto sempre da tutti, ancorché distrattamente, eccomi a ricordare ‘come eravamo’ sotto la Madonnina noi addetti ai lavori turistici (stampa, uffici del turismo, alberghi, compagnie aeree e di navigazione, tour operator, agenzie viaggi). Ma non si spaventi il cortese lettore: i ricordi sono contenuti in due sole puntate.
Spagna, amore totale
E la prima (ubi maior minor cessat) è dedicata alle mie vicende con i rappresentanti del Turismo di quel Paese (n.b. forse qualcuno non lo sa ancora, eppertanto mi affretto a precisare: trattarsi della Spagna) che visitai ventenne e d’amblé considerai ‘mio’ (breve inciso: ‘la patria’ disse un antico socialista è dove si sta bene, e io in Spagna ci stavo e ci sto bene; eppoi potrei financo dichiararmi ‘più spagnolo degli spagnoli’ perché loro sono stati obbligati a ‘nascerlo’ mentre io l’ho volontariamente scelto, e pure da maggiorenne). Una aficiòn, alla Hispanidad, dimostrata non tanto da una milizia turistica che nei decenni si sublimò in articoli (almeno 150 se non più), manuali di vendita, minidizionari (in Spagna il ‘burro’ è un asino, meglio informare) e tour operating, quanto da un rapporto invero curioso che per decenni intrattenni con i direttori dell’ufficio del Turismo. Per dirla col poeta, sono stato la ‘chioccia’ di molti (quanti? mah, forse cinque) rappresentanti di Turespaña a Milano. Il ‘nuovo’ arrivato mi veniva presentato dal ‘vecchio’ in partenza e io gli raccontavo cosa succedeva, spiegavo com’erano fatti i milanès e non, presentavo gente non solo addetta ai lavori turistici (molti di questi consoli, leggi seriosi diplomatici si divertirono financo in un’umile ‘tasca’,localino mangereccio che io contribuii ad aprire in via Rossini).
Da “guida” milanese a “ciclista” in Estremadura
Per dirla invece con lo storico (rif. al Milanesado, ducato di Milano, spagnolo dal 1535 al 1706, primo governatore Antonio de Leyva, avo della manzoniana Monaca di Monza) fui una sorta di ‘consigliere occulto’ indigeno al servizio del Poderoso (almeno turisticamente) occupante (roba che quelli dell’Enit, se non traditore, avrebbero – per mio piacere – potuto definirmi ‘collaborazionista’). Con il primo (della mia lista) dei Jefes di Turespaña (antan? magari! si parla del periodo Giurassico) condivisi pure la casa, nel senso che subentrai nell’appartamento che il severo e (stranamente, per essere uno spagnolo) taciturno Santiago Sanjuan dovette lasciare per eccessiva prole. Al quasi convivente Santiago successe (in una linda ma forse non allegra ‘oficina’ in via del Don) una sussiegosa non meno che pacata (tout court) ‘dottoressa Pujol’, in arrivo da quella Catalogna che proprio in quei tempi il suo celebre omonimo, nonché Jordi, voleva se non indipendente, quantomeno estremamente autonoma.
Eppoi da Mallorca arrivò Guillermo Puerto (ogni tanto ci sentiamo ancora, ‘me alegra’) una persona importante perché saggia (ma pure gaudente, quante belle cene nella sua casa di Como) come sanno esserlo gli isolani (come giustamente precisato da Predrag Matvejevic nel Breviario del Mediterraneo). E ‘El mè amìs’ Puerto me ne combinò una bella, ricordo con piacere anche se è passato ‘mucho tiempo’. Correva l’anno 1992 e Guillermo mi spedisce in Extremadura a una Vuelta in Mountain Bike organizzata in occasione del V Centenario della Scoperta dell’America: ma non come “enviado especial” bensì corridore nell’“equipo internacional” dei “periodistas” (non ero più uno sbarbato, una fatica della madonna tra burroni, pietraie e cinghiali incazzati).
Tori e Medaglie d’Argento
Partito Guillermo (si trasferì a dispensar poesia al Turismo spagnolo di Roma e pur di andare a trovarlo venivo a patti con la mia ‘padanità’) ecco, nell’elegante ufficio di piazza del Carmine, forse il più bello nel tempo, Mercedes Del Palacio. Finalmente una ‘castellana’ (roba però da stare attenti: bastava un niente per confondere la sua Palencia con la più nota Valencia!). Mercedes (poi divenuta tanto importante personaggio dello Stato spagnolo da non essermi mai azzardato a disturbarla durante le mie soste a Madrid) la ricordo per una caratteristica e due avvenimenti che mi allietarono. Caratteristica fu la sua (unica tra i tanti miei amici Jefes del Turismo ispano-milanese) ‘aficiòn taurina’ – nessuno è perfetto – che, da me condivisa, motivò la prima delle due esperienze che devo alla piccola grande Jefa. In un bel giorno di primavera del … (è passato tanto tempo, commenterebbe il Rick di ‘Casablanca’) partì da Milano (mèta la madrileña Feria di San Isidro, il massimo quanto a corride di Toros e spettacolo mondano) un famtrip stampa organizzato dal Turismo Spagnolo “in collaborazione con il dottor Bonomi” (come non poteva non gioire lo scrivente, che, per tanti anni, il 28 d’agosto confluiva a Linares a commemorare la morte di Manolete?). Non parliamo poi di quando Mercedes (ahh! il suo sposo Andrès mi insegnò, e ringrazio ancora, l’eccellenza dell’Anìs ‘Machaquito’, distillato a Rute – ‘la calidad no se discute‘ – recitava una reclàm radiofonica) ispirò a tal punto Turespaña da ritrovarmi decorato con una Medalla de Plata al Merito Turistico (applausi del ministro, mancava solo la Vuelta al Ruedo – il giro d’onore – e i presenti che in coro mi definissero “torero”).
Una Cruz nel nome di Isabella la Cattolica
Meno Toros con Ignacio Vasallo (in effetti mai vi fu grande aficiòn nella sua Galizia natìa) ciò nondimeno quante belle vicende ho sperimentato durante la sua gloriosa gestione dell’ufficio di Milano. Di ogni genere: mangereccio, personale e professionale. Nel primo caso fui da lui spedito a Sevilla a un ‘corso di taglio’ laddove invece della stoffa per abiti imparai a ‘cortar’ il divino Jamòn de Pata Negra (e rafforzato da tanto sapido sapere scrissi una sorta di trattatello su questo prosciutto e un minidizionario gastronomico). Ma poiché i riconoscimenti fan sempre piacere (‘non si vive di solo pane’, nemmeno se farcito di Pata Negra) Ignacio nobilitò la mia passione ispanica facendomi insignire della Cruz de Oficial de la Orden de Isabel la Catolica (altro Acto solenne, stavolta col Console generale). Quanto alla professionalità, poi, Vasallo (ideatore di un gran bel volume sulla
Spagna, edito con il New York Times durante il suo ‘mandato’ negli States, eppoi con il Corriere della Sera) ebbe l’ottima idea di creare un intelligente Club de Prensa (scribi di turismo periodicamente convocati dal Turismo Spagnolo per info e conferenze assai interessanti, ne ricordo una su Madrid con David Trueba e il corrispondente da Roma della Rtve). A Ignacio Milano non poteva che andargli stretta e un bel dì (con la sposa Barbara ‘sueca’/svedese, aficionada al tennis, si faceva insieme il tifo per di Mats Wilander) partì per Londra e colà (appresi con piacere) nella regale Regent Street ‘montò’ per alcune primavere un gran bel Spanish Show (qualche altra diavoleria la inventerà per certo sui Champs Elysèes di Parigi, sua ultima destinazione). A quello di Ignacio seguì il ‘mandato’ di Carlos Hernandez … e qui termina la Historia del Turismo Spagnolo nel Milanesado. Il seguito è cronaca (dei Gobernadores -turisticos- succeduti ad Antonio de Leyva, principe di Ascoli).
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3 SPAGNA & ITALIA, UNA COLTA TAVOLA ROTONDA CHE (FORSE) HO TRASFORMATO IN MANGERECCIA
Laddove partecipando a un incontro dell’Università di Milano con tema ”Spagna & Italia sguardi incrociati”, dopo altrui letterati argomenti ho (chissà) sbracato un filino raccontando vacue quisquilie mangerecce differenzianti italiani e spagnoli
gpb per mondointasca.org del 25/11/10
Scherzi “non” a parte, sto diventando sempre più famoso nell’areopago degli scribi turistici. Un esempio? Se si parla di tavola non nego una certa praticaccia, ma si era sempre e solo trattato di deschi presidiati da piatti e bottiglie.
Pochi giorni or sono, invece, ecco il salto di qualità, la consacrazione (che, ormai, ad andarmi di lusso potevo al massimo attendermi postuma) tanto insperata quanto gradita. Mi riferisco a un invito a una tavola che invece dei bassi piaceri del gusto sarebbe stata imbandita con edificanti argomenti con ascendente culturale.
Una Tavola Rotonda, a chiusura del Convegno dal titolo “Confini Mobili, lingua e cultura nel discorso del turismo” organizzato dall’Università di Milano. Visto il tema dell’incontro “Italia-Spagna, sguardi incrociati” era poi chiaro che oltre dire la mia sulla lingua spagnola ‘castellano’ e sul turismo, mi sarebbe anche spettato ricordare le mie, chissà quante, più che medio secolari gite in Spagna (mi ero pure portato la foto della carta geografica con tanto di itinerari percorsi).
Turismo ai raggi X
Tavola Rotonda a parte, durante il Convegno “Confini Mobili” sono stati trattati differenti argomenti relativi al turismo, roba che forse avrebbe potuto interessare anche la stampa cosiddetta di settore, del ‘trade’. E parimenti la Tre Giorni tenutasi all’università di Sesto San Giovanni forse poteva interessare anche quei tour operator che per marketing non intendono soltanto l’acquisto della mailing list dei notai o degli architetti, né possono dire di conoscere il trend solo perché un paio di clienti si sono detti stufi delle Maldive e vogliono andare altrove. Perché, nonostante alcune parole difficiline (per un “villico” come me: Interstatualità, Narrativa Odeporica, per non parlare di Tassonomia) si sono ascoltate interessanti esposizioni per chi bazzica nel ‘mundillo’ del turismo. Tanti relatori hanno commentato le mai perfette guide turistiche, valutato l’immagine turistica di alcuni Paesi (con condanna dei soliti stereotipi) svelato i segreti dell’Incoming (relazione sul Sud Africa in occasione del Mondiale di Calcio). Né si poteva ignorare il pesante impatto del web sui viaggi ‘fai da te’.
Spagna anni Cinquanta: un’altra storia
Ma ecco la Tavola Rotonda. Partecipanti previsti sei, presenti quattro (in spagnolo ‘bidone’ si dice ‘plantòn’) quindi più tempo per chi, come me, di vicende ispaniche voleva contarne molte. Ho cominciato informando che per pochi mesi la mia prima andata a sud dei Pirenei non dipese dalla presentazione di una dichiarazione del parroco attestante che oltre a essere un buon cattolico andavo pure a messa (torquemadesca ‘condicio sine qua non’ imposta fino a metà degli anni ‘50). E sempre a quell’era paleozoica del turismo in Spagna risale il ricordo delle disastrose strade di quel Paese (un paio di prof. spagnoli mi ascolta e annuisce, forse rammentando quanto raccontato dagli avi).
Un esempio? Per andare da Zaragoza a Madrid, poco più di 300 km, di ore potevi impiegarne 7 o 8: dipendeva dal buon cuore dei camioneros, che mediante una luce rossa suggerivano di non superarli o davano via libera per il sorpasso accendendo una luce verde. Tempi in cui la lira faceva abbondante aggio sulla peseta, talché beccare una multa, anche se si era giovani squattrinati, non dava più fastidio di tanto.
Impressioni monolinguistiche
Ma con ricordi troppo in là nel tempo e soprattutto eccessivamente autoreferenziali rischiavo di far scadere la Tavola Rotonda nel triste Amarcord di un rottamato aficionado alla Spagna. Dovevo volare più alto, ero ospite della Facoltà di Lingue, un omaggio allo spagnolo andava rivolto. Eccomi pertanto ricordare una recente cena in Ecuador con otto colleghi periodistas: un venezuelano, un ecuadoriano, un messicano, un argentino, un uruguaiano, un peruviano, una costaricana, un colombiano. Sedutisi a tavola tutti si misero a contarsela su senza problemi, grazie alla comune lingua madre spagnola-castigliana. Uno scambio culturale che in Europa avrebbe comportato i suoi problemi tra otto persone provenienti da differenti Paesi.
Ma la Tavola Rotonda stava sforando il tempo massimo senza che i miei “sguardi incrociati” (su ambo i Paesi perché ormai posso definirmi un ‘itagnolo’) avessero denunciato le diversità tra italiani e spagnoli.
Per finire con la tavola “imbandita”!
Ho subito provveduto a porre rimedio raccontando che agli spagnoli, in un bar italiano, dà fastidio dover pagare con anticipo una consumazione, quasi si trattasse di mancanza di fiducia nella ‘honradez’ di un ‘hidalgo’.
E parimenti girano loro le palle quando in un bar del Belpaese, prima di cena, devono strapagare una birretta (non accompagnata da ‘tapas’, che in Spagna si pagano a parte) solo perché in quel locale – ormai lo fan tutti – vige l’Happy Hour (demenziale usanza italiana in cui finisci pari solo se ti ingozzi di patatine e avanzi donati al bar dal ristorante vicino). A loro volta gli italici in Spagna non sopportano il formaggio servito come antipasto invece che a fine menu (ma si sa, ‘la buca l’è minga straca se la sa no de vaca’ …). E incacchiandosi di brutto se devono prendere il cibo (‘picar’) da un vassoio comune; pretendono che ‘lu magnare’ sia servito in un colpo solo nel ‘loro’ piatto, fisso e personale tra coltello e forchetta!
Ma, come temevo, sono partito da una culturale Tavola Rotonda per approdare alle vicende mangerecce della tavola imbandita. Addio sogni di gloria.
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4 HISPANIDAD, AMERICA SPAGNOLA O FIORENTINA?
Intrigante libro di Ruggero Marino
“Cristoforo Colombo l’ultimo dei Templari”….
La storia tradita e i veri retroscena della Scoperta dell’America
Sperling & Kupfer – Rai Eri
Pagine 340, 18 €
E’ arcinoto che il politico genovese Paolo Emilio Taviani fu un grande studioso di Cristoforo Colombo. Ma Ruggero Marino non gli è da meno. Se proprio si volesse cercare una differenza tra i due ricercatori, si potrebbe commentare che Taviani raccontò tutta la vita del navigatore, mentre lo storico-giornalista romano (a lungo una importante firma de Il Tempo) ha accentrato quasi esclusivamente i suoi sforzi nella ricerca della Verità sulla Scoperta. Una Verità nei suoi risvolti più importanti, quello politico e quello economico.
Gli studi di Marino cominciarono poco meno di quindici di anni fa con Cristoforo Colombo e il papa tradito (debitamente recensito da Mondointasca), un libro revisionista perché si permise di coltivare fieri dubbi su quelle che la Storia considerava ormai verità certe e assolute. Si era proprio sicuri che a sponsorizzare l’impresa colombiana fu laReina Catolica Isabella di Castiglia (sposa di quel marpione di Fernando d’Aragona) con tanto di gioielli impegnati e raschiatura del barile per raccattare quel che restava in cassa, al netto delle spese per la conquista di Granada? Nel citato libro Marino intrigò il lettore avanzando l’ipotesi che il vero finanziatore della Spedizione colombiana fosse stato papa InnocenzoVIII, il genovese (guarda caso come i banchieri che per decenni gestirono le finanze della monarchia spagnola) Giovanni Battista Cybo.
Ma il papa morì pochi giorni prima (25 luglio 1492) della partenza di Colombo da Palos (3 agost) e a succedergli fu eletto Alessando VI, al secolo Rodrigo Borgia, spagnolo. Preso atto della nazionalità del nuovo pontefice è superfluo stupirsi –commenta Marino- su quanto avvenne dopo la Scoperta.
Nella sua nuova opera Cristoforo Colombo l’Ultimo dei Templari. La Storia Tradita e i veri retroscena della Scoperta dell’America il pervicace indagatore aggiunge altra benzina al fuoco della Italianità della Scoperta, aggiungendo scoop di assoluto interesse e personaggi storici di grande spicco. Non senza lamentare la piccola pecca delle note riportate a fine testo (si fa meno fatica a consultarle a piede di pagina) l’importante fil rouge del libro è costituito dalla clamorosa ipotesi (o per Marino certezza?) che Cristoforo Colombo fosse figlio naturale del citato cardinale poi divenuto Innocenzo VIII. A conforto di questa intrigante asserzione la grande somiglianza nei ritratti e nelle statue di Giovanni Battista Cybo e dell’Almirante Navigatore . Non solo. Divenuta più dimostrabile la tesi del finanziamento papale a favore del figlio, il racconto di Marino intriga ancor più aggiungendo che vi fu una co-sponsorizzazione da parte del consuocero di Innocenzo VIII, il grande Lorenzo de Medici. Ago della Bilancia della politica italiana, gran mecenate della cultura e delle arti.
Ma anche Lorenzo de Medici scomparve prematuramente, a soli 44 anni, a fine primavera del 1492. A ‘sto punto nessuno si domandi più perché si parla Castellano dalla California alla Tierra del Fuego (e negli States sta prevalendo lo spanglish).
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